martedì 25 giugno 2013

I TAMBURATI (seconda parte)



Per mantenere leggero il pannello tamburato si usa, come ho scritto prima, il cartoncino a nido d’ape, che è il prodotto più comodo, più reperibile e più economico da utilizzare; in alternativa si possono usare anche dei pannelli a nido d’ape in materiale plastico, oppure pannelli compatti di polistirolo o di poliuretano espanso, che riempiono completamente la cavità interna del tamburato, dopo essere stati tagliati a misura: 


Il tamburato, allargando un po’ il concetto ed uscendo dal settore della falegnameria, si può ottenere anche con dei pannelli di metacrilato o altro materiale con un pannello interno di alluminio a nido d’ape; questi pannelli sono stati studiati con uno scopo prevalentemente decorativo:  


L’uso dei pannelli tamburati è stato determinato prevalentemente da tre fattori: la impossibilità di costruire gli sportelli in legno massiccio, perché non rimanevano complanari, ma tendevano a deformarsi; l’impossibilità di utilizzare dei pannelli di legno ricomposto, perché non erano ancora stati inventati e l’ultimo motivo è stato per questioni fiscali. Infatti chi ha una certa età, si ricorderà che ai vari ingressi della città c’erano delle costruzioni basse con una pesa davanti: erano i famigerati Dazi (eliminati solo negli anni ’50) presso i quali, entrando in città per consegnare della merce, ci si doveva fermare con l’autocarro, salire sulla pesa per determinare il peso del carico, e pagare una tassa proporzionale al peso della merce trasportata.
E’ ovvio che chi costruiva mobili, per mantenere basso il peso, cercava di utilizzare il tamburato per tutte le parti dei suoi prodotti, tanto da costruire anche fianchi, base e cappello con lo stesso sistema. E’ chiaro che questo si poteva fare una volta, quando la mano d’opera costava molto poco, perché costruire un tamburato è un’operazione che richiede un certo tempo ed oggi viene proposta da pochi, ma allora il tempo in più impiegato nella costruzione, veniva compensato dal risparmio sulla tassa.
Tecnicamente però c’era una complicazione: non ci si poteva assolutamente dimenticare di inserire, all’interno dei telai, i righetti verticali al centro dei fianchi, se si trattava di un armadio in cui si dovevano mettere i supporti per le canne appendiabiti, visto che le viti di fissaggio non venivano trattenute se inserite solo nei 4 mm. del rivestimento esterno del tamburato.
Lo stesso trattamento, ma in posizione diversa, veniva riservato alla base e al cappello del mobile, in corrispondenza del fissaggio dei fianchi interni.
Un breve cenno storico: quando non era stato ancora inventato il cartoncino a nido d’ape (che esiste in molti spessori diversi), i tamburati venivano costruiti utilizzando dei listelli sottili, opportunamente distanziati e montati in diagonale all’interno del telaio perimetrale; poi si placcavano i compensati (il processo costruttivo dei quali era già noto dalla seconda metà del XIX secolo) e successivamente l’impiallacciatura desiderata.
Un settore in cui il tamburato viene largamente usato ancora oggi è quello della costruzione degli stand fieristici, in cui le pareti apparentemente massicce e con uno spessore attorno ai 10 cm., sono invece costituite da un telaio di circa 8 cm. di spessore, con alcuni traversi orizzontali, placcato esternamente con due fogli di truciolare da 10 mm., per mantenerlo leggero. Con i fogli di questo spessore non si usa il cartoncino, perché basta qualche traverso per non farli affondare verso l’interno.
Abitualmente i pannelli di questo tipo, dopo essere stati squadrati, vengono fresati lungo i due lati corti (quindi quello a pavimento e quello opposto) per creare un sistema di allineamento, utilizzando un righetto adatto alla fresata e fissato a pavimento, su cui si incastrano i pannelli; un righetto analogo provvederà a mantenere allineati i tamburati nella parte alta, visto che spesso negli stand manca un soffitto a cui potersi agganciare.
Per migliorare l’accoppiamento tra un pannello e quello successivo, spesso si prevede anche una fresata verticale in entrambi, in cui si inserisce un listello che viene chiamato anima.
In funzione dell’estetica che si desidera dare allo stand, i pannelli possono essere solo stuccati e dipinti, oppure si possono rivestire con laminati, impiallacciature, tessuti, moquette o altri materiali.


domenica 16 giugno 2013

I TAMBURATI (prima parte)



Il tamburato è un pannello che è stato progettato per riuscire ad ottenere un prodotto molto leggero e perfettamente stabile, quindi nato soprattutto per essere usato per produrre, per esempio, sportelli di armadi ad anta intera.
La costruzione standard del tamburato parte dalla realizzazione del telaio esterno che è generalmente costituito da righetti di abete che vengono tagliati per circa metà del loro spessore alternativamente sopra e sotto, ogni 30-40 cm. circa per tutta la loro lunghezza.
Questa operazione ha un duplice scopo: il primo è quello di snervare i listelli in modo che non ci siano tensioni interne (soprattutto in corrispondenza dei nodi) che possano interferire con la corretta planarità del tamburato. Il secondo è quello di poter fare uscire dal tamburato il vapore acqueo che si genera tutte le volte che si effettua un incollaggio con la pressa a caldo, derivante dall’acqua che è contenuta nella colla e che, per effetto del forte riscaldamento, evapora velocemente.
A questo scopo il cartoncino a nido d’ape ha un foro su ogni faccia dell’esagono che si forma tirandolo per stenderlo all’interno del telaio; in questo modo si riesce a fare sfogare la pressione che si genera al centro del pannello, perché il vapore riesce ad attraversare tutte le celle fino a raggiungere un taglio del righetto perimetrale, attraverso il quale sfiata all’esterno. 


Una volta che i righetti sono stati spizzati a 45° nelle teste di unione e collegati fra di loro, con la graffettatrice su entrambe le facce, in modo da dare una certa consistenza al telaio, si passa al fissaggio del cartoncino a nido d’ape contro il perimetro interno del telaio, sempre con la graffettatrice.
A questo punto dobbiamo decidere che materiale vogliamo usare per rivestire il telaio ed ottenere, incollandolo sotto la pressa, il tamburato; in genere le soluzioni sono tre: fogli di truciolare, di MDF oppure di compensato e lo spessore di questi fogli che si usa più spesso è il 4 mm.. 

Questi fogli vengono quindi spalmati di colla sulla faccia interna con uno spandicolla manuale (vedi articolo pubblicato in data 10.03.2013), se lavoriamo in un laboratorio artigianale, oppure facendoli passare in una macchina che si chiama incollatrice, se siamo all’interno di un’industria che costruisce un notevole numero di tamburati, come ad esempio una ditta produttrice di porte.
Se ci limitiamo al caso più semplice, cioè quello dello sportello, nel preparare il telaio in abete ci dobbiamo preoccupare di usare dei listelli larghi abbastanza da poter ospitare la testa delle cerniere, che di solito sono quelle usate per le cucine. Se i listelli sono stretti, bisogna risolvere il problema affiancandone due, per ottenere la dimensione necessaria.
Naturalmente per finire decorosamente lo sportello dobbiamo nascondere il listello perimetrale in abete, per cui bisogna bordare il pannello; questa operazione si può fare in diversi modi, in funzione del tipo di finitura che vogliamo dare al nostro sportello.
Per esempio, se stiamo realizzando un armadio con ante laccate, avremo sicuramente preparato i pannelli tamburati rivestiti con fogli di MDF, visto che è un materiale che si presta bene ad essere laccato; di conseguenza anche per il bordo dobbiamo adottare un prodotto con le stesse caratteristiche.
Quindi possiamo scegliere tra: un bordo in MDF da 4 mm., oppure di masonite da 2,5 mm., oppure di un legno compatto come il Tanganika o il Faggio di spessore 1 mm.; altrimenti ci sono dei bordi di materiale sintetico, sempre da 1 mm., come l’ABS o il PVC che si prestano tutti ad essere laccati con successo.
Se invece vogliamo rivestire lo sportello in legno, possiamo partire da un tamburato rivestito in MDF, truciolare o compensato di pioppo (attenzione alla direzione della vena del compensato! Se volete il legno esterno con la vena verticale, il compensato dovrà avere la vena orizzontale), poi si provvede a placcarlo come descritto nell’articolo del 10.03.2013 .

Naturalmente i bordi saranno dello stesso legno e possiamo scegliere tra un bordo da 1 mm. oppure una righetta di 4 o 5 mm. di spessore. La differenza tra le due soluzioni è data dal fatto che con il bordo da 1 mm. l’arrotondamento dello spigolo (indispensabile per una buona finitura) è molto piccolo, mentre nel caso della righetta si può arrotondare con un raggio decisamente superiore, dando quindi una maggiore “morbidezza” allo sportello.   (fine prima parte)

venerdì 7 giugno 2013

IL LEGNO LAMELLARE




Il legno lamellare è un materiale costituito da tanti listelli, generalmente dello stesso legno, incollati fra loro; ci sono due tipi di questo prodotto: quello a listelli interi e quello a listelli corti giuntati col sistema detto “finger joint”, che sarebbe questo sistema di accoppiamento:




A differenza dei listellari, in cui i listelli vengono coperti da fogli di vario tipo, in questo caso i pannelli vengono prodotti per essere usati a vista, quindi come elementi decorativi, in sostituzione delle tavole giuntate dello stesso legno, nei cui confronti questo tipo di lavorazione offre dei vantaggi.
Prima di tutto con la riduzione in righetti, il legno viene praticamente snervato, per effetto della riduzione delle dimensioni e, mescolando i listelli si arriva sempre ad incrociare le tensioni interne, ottenendo così una compensazione degli effetti deformanti.
Si ottiene così un pannello stabile che può essere usato come un’enorme tavola di legno massello, visto che le dimensioni più spesso usate per produrre il lamellare sono 305x122 oppure 400x122 cm..
Vengono costruiti pannelli con legni diversi e con spessori diversi; si trovano infatti pannelli spessi da 12 mm. fino a 42 mm. di almeno 15 tipi di legni diversi.
Il metodo per produrre questi pannelli di legno lamellare ha diversi passaggi: innanzitutto bisogna far essiccare le tavole di legno, abitualmente fino a raggiungere un’umidità relativa dell’8% (quindi più secco del legno venduto commercialmente in tavolame), poi si deve controllare la qualità delle tavole da usare, che devono essere prive di nodi o quasi.
In seguito le tavole scelte per ricavare un medesimo spessore vengono infilate in sequenza in una macchina che si chiama multilame che, come dice il nome stesso, ha diverse lame da sega circolare affiancate ed opportunamente distanziate che tagliano le tavole in tanti listelli di uguale larghezza.




Il passaggio successivo è quello di inserire i righetti ottenuti in una macchina che si chiama scorniciatrice che dà a ciascun listello la forma prismatica, piallandoli contemporaneamente sui 4 lati, dando quindi una sezione uguale a tutti.
A questo punto bisogna fare la scelta se produrre dei pannelli a listelli interi o se assemblare dei pannelli a listello corto, con effetto parquet. Se scegliamo la prima soluzione, dobbiamo farli passare in una macchina che, usando un rullo zigrinato o rigato sulla superficie esterna, provvede a spalmare la colla sulle facce che devono essere incollate.
Successivamente i vari righetti vengono inseriti in una pressa a caldo che provvede sia a stringerli lateralmente, per fare in modo che la colla in eccedenza possa uscire, sia a schiacciarli per tenerli tutti allo stesso livello, minimizzando gli scostamenti in verticale tra un listello e quelli a fianco. Naturalmente si usano delle colle termoindurenti per accorciare al massimo il tempo di pressatura dei pannelli ricostituiti; questi, una volta raffreddati vengono calibrati per ripulirli dalla colla in eccesso, livellare i piccoli dislivelli che possono manifestarsi all’uscita della pressa e dare il giusto spessore, poi vengono squadrati.
Nel caso invece che si voglia procedere alla preparazione di pannelli a listello corto, si ha innanzi tutto il vantaggio di utilizzare quei listelli che non si sono potuti usare per i pannelli precedenti o per la presenza di un nodo, o per crepe, o per altri difetti; si procede quindi alla troncatura dei listelli, che hanno già subito le lavorazioni previste per i pannelli a lista intera, senza preoccuparsi però di tagliarli tutti alla medesima lunghezza.



Si mettono poi nella macchina che provvede a fresare nelle teste i listelli ottenuti, effettuando il “ finger joint “, cioè un’unione ad incastro perfetto in cui si aumenta notevolmente, con quel tipo di fresatura, la superficie di incollaggio per ottenere una tenuta migliore.
I vari pezzi ottenuti vengono spinti uno dietro l’altro, fino a formare un listello unico, più o meno della lunghezza desiderata; una volta raggiunto il numero di listelli ricostituiti sufficienti a comporre un pannello, si ripete l’operazione di spalmatura della colla su un fianco e successivamente la pressata a caldo con compressione laterale come per i pannelli a lista intera.
Tutte queste operazioni possono essere compiute da macchine con procedimento automatico, fino al completamento del pannello, oppure si possono fare in maniera più artigianale, come si vede in questo filmato: 



A questo punto noi disponiamo di un pannello che può essere segato, forato, fresato, carteggiato e verniciato come una tavola di legno normale.
Questi pannelli, che io ritengo molto belli, soprattutto nella versione a listello corto, vengono usati generalmente come top per i mobili e qualcuno li propone anche come top da cucina, anche se sono certamente un’ottima finitura estetica, ma poco pratici, in quanto la verniciatura protettiva si rovinerà in breve tempo con l’uso degli utensili da cucina e ripristinarla non è così semplice come si può pensare.

In alcuni casi vengono prodotti dei pannelli che sono costituiti da listelli di legno alternati a listelli di plexiglas, per ottenere effetti di luce particolari, quando vengono usati come divisori verticali.