domenica 29 settembre 2013

LE VERNICI (prima parte)

Da tempo immemorabile l‘uomo ha cercato di proteggere i propri manufatti in legno perché si era reso conto che il legno grezzo assorbiva liquidi e si sporcava con estrema facilità; pertanto, per riuscire ad esaltarne le caratteristiche estetiche e per proteggerlo, i falegnami dei tempi passati hanno cominciato a cercare dei prodotti che potessero risolvere questo problema.
Le prime sostanze che sono state usate per proteggere il legno sono stati gli olii, le cere e le resine, che venivano opportunamente mescolate ed anche riscaldate per amalgamarle meglio e stenderle sul legno da trattare.
Poi, circa due secoli fa, è stata scoperta la gommalacca, che si estrae da una sostanza prodotta da alcuni insetti che vivono nelle foreste asiatiche; questa specie di resina viene sciolta in alcool, depurata filtrandola e lasciata essiccare, facendo evaporare il solvente.
Sul fondo del contenitore rimane una sostanza di colore bruno dorato, che viene venduta in scaglie, pronta per essere sciolta nuovamente in alcool per impregnare il tampone che si usa per lucidare i mobili, generalmente antichi.



Questo è quello che è successo in Europa e nell’area mediterranea; in effetti non possiamo dimenticare che in Cina e in Giappone erano conosciute le lacche da migliaia di anni, le cui ricette venivano gelosamente custodite e tramandate di padre in figlio dagli artigiani dell’epoca, per evidenti motivi protezionistici.
In tempi più recenti, attorno agli anni ’20 del secolo scorso fu prodotta in Svizzera per la prima volta la vernice alla nitrocellulosa, che rivoluzionò il sistema di verniciatura anche perché il sistema di applicazione era, anche questo, innovativo. La vernice veniva applicata con uno strumento chiamato “pistola a spruzzo”, che sfruttava la spinta dell’aria compressa per distribuirla (il termine usato oggi è aerografo).
Questo sistema permetteva di verniciare grandi superfici in breve tempo, anche perché la vernice alla nitrocellulosa aveva una rapidità di essicazione eccezionale rispetto ai tempi ed ai vari passaggi richiesti per la lucidatura a gommalacca.
Oggi queste vernici sono praticamente scomparse, in quanto producevano troppe sostanze volatili (i cosiddetti VOC, acronimo inglese che significa: Composti Organici Volatili), dannose per l’ambiente, sia per il notevole quantitativo di diluente utilizzato, ma soprattutto sprecato durante la verniciatura che, usando la pistola a spruzzo, si nebulizzava attorno all’oggetto, quando il getto era più ampio del pezzo da trattare.
E’ ovvio che tutte le operazioni di verniciatura che vengono effettuale dentro le apposite cabine, con impianto di aspirazione e dotati dei regolari filtri di captazione, hanno un impatto ambientale minimo.
Il problema si pone soprattutto per le applicazioni effettuate all’esterno, nei cantieri, dove non è possibile controllare le emissioni dei prodotti volatili, che vengono quindi rilasciati nell’atmosfera.
Un’altra categoria di vernici ormai caduta in disuso è quella degli smalti sintetici ad olio, che non si potevano spruzzare, ma venivano applicati a pennello ed usavano come leganti degli oli essicativi come, per esempio, l’olio di lino.

Queste vernici avevano dei tempi di essicazione molto lunghi (erano necessari alcuni giorni) e la diluizione del prodotto veniva fatta inizialmente con l’essenza di trementina (chiamata anche acqua ragia); ultimamente, per ridurre forte odore di questo solvente, erano stati messi a punto dei diluenti quasi inodori, destinati soprattutto ai lavori da eseguirsi in casa (verniciature di porte e finestre), per limitare le esalazioni sgradevoli di queste sostanze, che purtroppo duravano per diversi giorni. 

sabato 21 settembre 2013

GLI STUCCHI (seconda parte)



Un altro prodotto che viene saltuariamente utilizzato in falegnameria è lo stucco metallico al poliestere, che è quello utilizzato normalmente in carrozzeria, vista la sua ottima adesione sui metalli.
I casi in cui si usa questo stucco sono quelli in cui dobbiamo fare delle ricostruzioni di punti a rischio, come gli spigoli che hanno subito degli urti e si sono sbrecciati; in tali occasioni si è soliti inserire due o più chiodi incrociati nell’avvallamento che si è venuto a creare, per fare aggrappare meglio lo stucco, creando una specie di armatura  (assicurandosi che i chiodi non sporgano dai piani dello spigolo).
Dopo la carteggiatura vi renderete conto che la stuccatura è dura e resistente; come nel caso precedente, anche questo è uno stucco che ha una base e un catalizzatore; non ho mai sentito nessuno che si sia dedicato a colorare questo prodotto, visto che è utilizzato per interventi su parti di legno che saranno poi laccate.


Una categoria a parte è rappresentata dagli stucchi a base di cera e colorati in varie tonalità per stuccare i vari legni; l’uso che si fa di questi stucchi è duplice: quello più conosciuto è legato alla stuccatura dei forellini lasciati dai tarli nei mobili antichi trattati superficialmente solo con oli, cere o gommalacca, oppure ammaccature o sbrecciature che si sono verificate in qualunque mobile e che si vuole riparare con poca spesa (accontentandosi però del risultato).
L’altro uso che si fa di questi stucchi è quando si manda il materiale in verniciatura e, mentre si applica il fondo trasparente su un pezzo il legno che deve rimanere naturale, ci si accorge che ci sono delle fessure o dei forellini che non possono essere riempiti dal fondo.
A questo punto si aspetta che il fondo sia asciutto e si applica un po’ di stucco a cera del colore giusto con una spatolina rigida (a volte basta anche un cacciavite o uno scalpello), in seguito si carteggia il pezzo e si passa alla verniciatura e il ritocco non si nota più.
Nota importante: questi stucchi non si possono applicare direttamente al legno grezzo perché, essendo cerosi, formerebbero degli aloni di unto attorno al legno impregnandolo; inoltre il fondo non aderisce a questi prodotti, mentre la vernice non ha nessun problema.
Per quanto esistano tante varianti di colore di questi stucchi, non è pensabile che riusciate ad intervenire sui mobili semplicemente con i prodotti base; capiteranno sicuramente delle occasioni in cui la tonalità del legno su cui dovete applicare lo stucco sia a metà fra due stick di colore in sequenza.
A questo punto vi serve dello stucco che non avete, ma che si può ottenere mescolando due piccoli pezzi degli stick che possedete; poiché sono a basa cerosa, si sciolgono a temperature abbastanza basse. A me è capitato un caso del genere ed ho risolto il problema prendendo un tappo a corona di una bottiglietta di birra e, dopo aver tolto la parte interna in plastica, l’ho preso con un paio di pinze tenendolo rivolto verso l’alto, ho messo due pezzetti di due colori diversi e l’ho scaldato con la fiamma di un accendino.
Facendo intervenire un’altra persona, che amalgamava i due pezzetti con un chiodo (eravamo in cantiere), abbiamo ottenuto la gradazione voluta ed siamo riusciti a fare una stuccatura perfetta nel mobile che era stato scheggiato durante il montaggio.




domenica 15 settembre 2013

GLI STUCCHI (prima parte)



Un prodotto che si usa spesso in falegnameria è lo stucco, che serve a rifinire le superfici imperfette, a chiudere le piccole fessure o i forellini che si sono creati durante le lavorazioni, oppure a ricostruire spigoli o sbrecciature nel legno creati da urti o altri eventi.
I tipi di stucco più frequenti sono quattro: lo stucco da rasare, lo stucco bicomponente per legno, lo stucco bicomponente per metallo e lo stucco a cera in stick. Questi prodotti vengono usati prima di far verniciare il manufatto in lavorazione (ad eccezione dello stucco a cera) e si applicano con una spatola metallica flessibile.

Lo stucco da rasare, o stucco francese, lo si trova già preparato in barattoli di plastica con coperchio a perfetta tenuta, per mantenere umido il prodotto che, essendo a base acquosa, non deve essicarsi finchè è nel suo contenitore; è costituito da Gesso di Bologna amalgamato con colla di pelle di coniglio. 


Lo stucco base è bianco, ma esistono anche versioni già tinte per accoppiarsi bene ad alcuni legni; comunque nella maggior parte dei casi ci si prepara lo stucco del colore giusto per il legno che si sta lavorando, tingendolo con delle polveri di vari colori che si chiamano terre e che vanno aggiunte in varie proporzioni fino al raggiungimento della tonalità voluta.
E’ importante sapere che per ottenere una stuccatura del giusto colore, bisogna preparare uno stucco di una tonalità più scura del legno grezzo che stiamo lavorando; il motivo è che gli stucchi colorati, quando si asciugano, diventano più chiari, per effetto dell’evaporazione dell’acqua.
Per preparare lo stucco del colore giusto in genere si passa una spugna umida sul legno grezzo, per simulare il colore del legno dopo la verniciatura (che lo scurisce); a questo punto abbiamo il riferimento di colore giusto per preparare lo stucco nella tonalità adeguata, che si provvederà ad applicare nei punti necessari.
Dopo alcune ore lo stucco si sarà asciugato (mentre il legno lo sarà da un pezzo, visto che è stato solo inumidito superficialmente) ed avrà assunto il tono di colore del legno grezzo; con la successiva verniciatura trasparente, sia il legno, sia lo stucco diventeranno un po’ più scuri, ma mantenendo una discreta affinità di colore.
Una cosa importante è che, per effetto dell’evaporazione dell’acqua, questo stucco si ritira (il residuo secco è circa l’80% del prodotto umido), quindi bisogna applicarlo con una certa abbondanza, se vogliamo darlo una volta sola. Altrimenti dobbiamo procedere con due passate, aspettando 3 o 4 ore tra l’una e l’altra.
Questo sistema diventa obbligatorio quando la profondità della stuccatura è notevole e la prima mano potrà mostrare anche delle screpolature durante il ritiro.
In generale per l’applicazione dello stucco francese, bisogna assicurarsi che la zona da trattare sia priva di polvere o avanzi di vecchie stuccature e, volendo facilitare l’aggrappaggio del prodotto, possiamo leggermente inumidire la parte da stuccare.
Ad essicazione avvenuta la stuccatura, che sarà sempre eccedente il legno, andrà carteggiata con carta vetrata fine, per prepararlo alla fase di verniciatura.
Ovviamente, nel caso che il legno debba essere laccato, quindi coperto con una vernice pigmentata, non è necessario preoccuparsi di colorare lo stucco, ma basterà usarlo bianco, tanto verrà comunque coperto dalla laccatura.

Un’ottima alternativa allo stucco precedente è lo stucco bicomponente per legno, questo prodotto è composto da una base, che esiste in diversi colori, e di un tubetto di catalizzatore, che va dosato con proporzioni varianti tra 1% e 4%, in funzione della rapidità che si vuole ottenere nella fase di indurimento, e della marca del prodotto.
Non è utile aumentare la quantità di catalizzatore, sperando in un indurimento più rapido; il catalizzatore eccedente non reagirà con la base e potrebbe provocare un danno, perché il perossido di dibenzoile (che sarebbe la sostanza che costituisce il catalizzatore) potrebbe dare origine ad alcune macchie in fase di verniciatura.
Naturalmente pensare di calcolare esattamente le giuste percentuali non è facile per nessuno e, viste le scarse quantità di stucco che abitualmente si preparano, nessuno si azzarda ad usare una bilancia elettronica per pesare i due componenti.
In effetti bisogna un po’ arrangiarsi, tenendo conto che dovete proporzionare il quantitativo del barattolo con quello del tubetto e dovreste riuscire a finirli contemporaneamente o quasi.


I vantaggi di questo tipo di stucco sono: la rapidità di indurimento che oscilla tra i 20 e i 30 minuti, e la mancanza di ritiro volumetrico; questo permetterebbe di rasare lo stucco a filo col pezzo, ma nell’uso pratico non succede mai e si tende comunque ad abbondare un po’, per spianarlo con la carta vetrata ad indurimento avvenuto.
Rispetto allo stucco francese, questo può otturare difetti anche di notevole profondità con un unico intervento, evitando quindi la doppia passata.
Come lo stucco francese, anche questo può essere colorato a piacere, ma anziché le terre (che sono ossidi di ferro naturali), in questo caso bisogna usare gli ossidi che sono ossidi di ferro sintetici. (fine prima parte)





domenica 1 settembre 2013

LE COLLE POLIURETANICHE (sesta parte)




Queste sono colle che si trovano diluite in acqua o in solvente, esistono sia monocomponenti che bicomponenti; le prime si usano in tutte le occasioni in cui si potrebbe usare anche una vinilica D 4, visto che la colla poliuretanica (indicata molto spesso con l’acronimo PUR) è resistente al contatto con l’acqua, anzi più l’ambiente è umido e più la colla indurisce.
Il settore della falegnameria dove è più usata è quello della serramentistica, in quanto le finestre o i portoncini esterni, soggetti alla pioggia battente, non soffrono minimamente nei punti di giunzione e mantengono ottimamente la tenuta dell’incollaggio. 






L’unico difetto che ha questa colla quando è in dispersione (acquosa o in solvente) è che, a contatto con l’umidità, sviluppa anidride carbonica, producendo un po’ di schiuma e tende a gonfiarsi; bisogna quindi assicurarsi che i pezzi da incollare siano ben stretti, altrimenti la colla tende a distanziarli.
Esistono anche dei collanti poliuretanici confezionati nella classica cartuccia che si usa abitualmente per i siliconi; questo tipo è pastoso e si può tranquillamente applicare anche su pareti verticali.
Se, dopo averlo distribuito con la classica pistola per cartucce di quel tipo, volete distribuirlo meglio spalmandolo, si può utilizzare una spatola dentata come quella usata per le colle a contatto.
Con le colle poliuretaniche non si incollano solo parti di legno fra loro, ma anche delle lamiere fra loro o su legno, oppure materiali diversi anche su pareti in muratura o calcestruzzo. 





Quando invece serve un collante poliuretanico che permetta una manipolazione dei pezzi in tempi più brevi si può usare il tipo monocomponente rapido, ad alta resistenza.
Anche se non sono delle colle vere e proprie, in falegnameria si usano anche le schiume poliuretaniche, che sono nate per sigillare e riempire delle cavità con una destinazione prevalentemente indirizzata all’edilizia, ma che sono da tempo usate per fissare i cassonetti delle porte alla cassematte, o direttamente alla muratura o al cartongesso.



In questo modo si possono evitare le viti di fissaggio, decisamente antiestetiche, anche quando vengono incassate e coperte da un tappino in plastica del colore adeguato.
Oltre alla schiuma monocomponente classica, esiste un tipo bicomponente che permette di ottenere incollaggi più rapidi; viene usata anche per il fissaggio degli scalini sulla relativa struttura. 
Poiché queste schiume tendono a gonfiarsi dopo l’applicazione, durante il montaggio dei cassonetti delle porte è meglio usare dei puntelli, per evitare che i montanti vengano spinti verso l’interno, portandoli quindi ad avvicinarsi, cosa che impedirebbe l’inserimento della porta a montaggio ultimato.