Parlando sempre di alberi che danno legname da lavoro, è difficile trovare delle piantagioni destinate al taglio annuale, ma ci si limita ad abbattere i singoli alberi, o gruppi di alberi, che si trovano nei boschi o nelle foreste già in età e dimensione utile per essere trasformati in materiale da lavoro: tavolame o impiallacciatura.
Naturalmente per potere utilizzare un tronco, bisogna prima abbattere l’albero; una volta l’unico sistema era l’uso della scure, con cui si colpiva il tronco alla base, asportandone delle porzioni ad ogni colpo, finchè non si arrivava a ridurre il sostegno dell’albero a pochi centimetri di diametro. A quel punto si spingeva il tronco con due pertiche nella parte alta, facendolo cadere dalla parte opposta ai taglialegna, che si dovevano preoccupare di dirigerlo, nella caduta, in modo da non fare danni agli alberi circostanti.
Successivamente si è passati al segone a due manici, che veniva manovrato da due persone che tenevano l’attrezzo orizzontale, affondandolo nel tronco con movimenti alternati (i denti della sega erano affilati in modo da poter lavorare nei due sensi) fino circa a metà del diametro. A questo punto bisognava inserire dei cunei di legno duro o di ferro nella posizione in cui era iniziato il taglio, per tenere aperta la fessura che aveva prodotto l’opera della sega, onde evitare che, con l’avanzamento del lavoro, il peso del tronco, cadendo all’indietro, chiudesse il taglio, impedendo così lo scorrimento della sega. Questo era un lavoro comunque gravoso, in quanto il segone si impastava con la segatura che produceva durante il taglio, aumentando l’attrito e quindi la fatica degli operai.
Fortunatamente qualche tempo dopo qualcuno inventò la sega americana , che aveva una notevole innovazione: lungo la lama aveva ogni tanto, al posto di un dente, un elemento inclinato che agiva come una spatola, asportando verso l’esterno la segatura prodotta durante la lavorazione e migliorando notevolmente l’attrito.
Oggi si usano le motoseghe a catena, che in certi casi sono molto lunghe, se destinate a tagliare alberi con diametri notevoli; in compenso è stato messo a punto un sistema di taglio per costringere il tronco a cadere in una direzione precisa (figura 1):
Oggi si usano le motoseghe a catena, che in certi casi sono molto lunghe, se destinate a tagliare alberi con diametri notevoli; in compenso è stato messo a punto un sistema di taglio per costringere il tronco a cadere in una direzione precisa (figura 1):
Si effettua un doppio taglio anteriormente, per togliere una porzione orizzontale di legno a forma di cuneo, poi si inizia a tagliare il tronco da dietro, operando il consueto taglio orizzontale (aiutandosi con i soliti cunei di ferro), ma restando in un piano più alto di qualche centimetro rispetto alla base del cuneo che è stato tolto anteriormente. Quella porzione di legno rimasta intatta tra il taglio orizzontale e il vuoto anteriore a cuneo, fa sì che il tronco cada come se fosse guidato da una cerniera, dirigendolo nella zona designata.
L’abbattimento degli alberi deve avvenire nel periodo invernale, quando la pianta si trova in una fase di letargo; il momento giusto per il taglio non viene determinato scientificamente, ma è legato a sperimentazioni empiriche che sono il frutto di una serie di comportamenti legati alle tradizioni dei taglialegna dei tempi passati.
Esiste un bel libro che si intitola: “ La natura del legno “ scritto da Erwin Thoma, che ha passato tutta una vita tra boschi, tronchi tagliati e la sua segheria in Austria; in questo libro (che consiglio a tutti di leggere) lui racconta le proprie esperienze, le tradizioni che l’hanno motivato e le conseguenze delle sue scelte. Facendone un succinto riassunto, Thoma ci racconta che gli alberi vanno tagliati con la luna nuova e, dopo l’abbattimento, rivolti con la cima a valle su un versante inclinato, fino a primavera, senza asportare i rami che, per uno spirito di sopravvivenza tendono a richiamare la linfa, aiutati dalla forza di gravità, per poter far spuntare le nuove gemme. In questo modo liberano il fusto di una buona parte di linfa con quelle sostanze che possono farlo marcire, e ne iniziano la stagionatura. Sempre secondo quello che dice Thoma, in questo modo si evita che i tronchi abbattuti ed in seguito accatastati, dopo aver tolto i rami, vengano attaccati dagli insetti xilofagi, soprattutto dal Bostrico.
Questo almeno è quello che bisognerebbe fare per ottenere il legno migliore e, probabilmente, è quello che si faceva una volta; al giorno d’oggi non possiamo pensare di fare lavorare una segheria soltanto in primavera, infatti le moderne segherie lavorano su due turni almeno, per tutto l’anno. Questo significa che per poter alimentare le macchine preposte al taglio dei tronchi in tavolame, serve un certo numero di autocarri carichi di legname ogni giorno, per 5 giorni la settimana.
Una volta accatastati i tronchi bisogna trasportarli fino alla segheria o alla tranceria, per essere poi ridotti in tavole oppure in fogli di impiallacciatura; per fare questo ci sono in genere due soluzioni: la prima è caricarli su degli autocarri appositi, che però devono avere una strada di accesso alle cataste nei boschi, altrimenti bisogna costruirla, preoccupandosi anche di spianare un piazzale abbastanza ampio da fare curvare gli autocarri per il ritorno. La seconda è utilizzabile quando ci si trova in prossimità di un fiume abbastanza largo da poter preparare delle “ zattere “ di tronchi, il cui perimetro è costituito da tronchi vincolati tra loro, per creare un unico elemento galleggiante che viene guidato da due rimorchiatori (uno davanti ed uno dietro) fino a destinazione.
Questo tipo di trasporto si chiama fluitazione ed ha un duplice vantaggio: il primo è che non si devono percorrere reti stradali, con tutti i problemi che comportano; il secondo è che, durante il trasporto i tronchi subiscono un lavaggio dei vasi che trasportano la linfa, riducendo notevolmente la possibilità che il legno marcisca una volta stoccato sui piazzali, in attesa della lavorazione.
Una volta che i tronchi sono stati sistemati nei depositi, da cui verranno spostati solo quando sarà il loro turno di lavorazione, bisogna stare attenti che non si comincino ad essiccare oltre un certo limite, perché la stagionatura del legname deve essere effettuata solo dopo che è stato ridotto in tavolame. Se i tronchi si dovessero asciugare troppo, inizierebbe a contrarsi il legno in maniera disomogenea e questo finirebbe per creare tante crepe radiali nei tronchi, che rovinerebbero irrimediabilmente il tavolame che ne viene ricavato. Non è insolito infatti vedere innaffiare le cataste di tronchi al sole, quando fa caldo, per mantenere il tasso di umidità sotto controllo.