mercoledì 26 febbraio 2014

IL PANTOGRAFO



Il pantografo è una macchina che è stata inventata per fresare delle tavole o dei pannelli, seguendo una sagoma predefinita e mettendo l’operatore nelle condizioni di fare tutte le copie che vuole dello stesso oggetto. 




Per procedere alla realizzazione bisogna innanzitutto disporre di un disegno quotato o di un profilo, per riprodurre una sagoma perfetta su un pannello, generalmente in MDF come quello che si vede nella foto, dotata di blocchi di fermo per tenere in posizione il pezzo contro la sagoma stessa, durante la lavorazione. 


Una volta preparati i pezzi squadrati che dovranno essere sagomati, vi si appoggia sopra la sagoma in MDF e si segna il contorno con una matita; poi, con la sega a nastro, si segano tutti i pezzi restando però qualche millimetro al di fuori del segno di matita.
Ovviamente il nastro della sega sarà più o meno stretto in funzione dei raggi di curvatura da eseguire: se i raggi sono grandi basta un nastro grande, se invece sono piccoli bisognerà montare un nastro stretto, in modo che possa curvare in fretta durante il taglio.
In seguito si fissa la sagoma sotto al pezzo da lavorare con il sistema più conveniente: a volte si possono usare due viti, i cui fori verranno stuccati a fine lavorazione; in altri casi dei chiodini oppure anche del semplice biadesivo, se non si può intaccare la superficie dei pezzi da sagomare.
Fatto questo, si decide con quale fresa si deve affrontare il lavoro; come al solito possiamo usare una fresa di diametro abbondante, che lavora più velocemente, se i raggi di curvatura sono ampi, ma useremo una fresa di piccolo diametro se ci dobbiamo infilare in zone con raggi piuttosto piccoli. 



Immediatamente sotto la fresa, e con lo stesso diametro, si monta un perno di acciaio; contro questo perno bisognerà tenere premuta la sagoma per tutto il percorso che dovrà seguire il pezzo per essere copiato. Si dovrà determinare inoltre la profondità di lavorazione della fresa, che deve essere regolata in modo da lavorare almeno un paio di millimetri più in basso del pezzo, per avere la certezza che la lavorazione avvenga su tutto lo spessore.
A questo punto, con la tavoletta o il pannello ben fissato sopra la sagoma, e leggermente sporgente rispetto ad essa, possiamo avviare la macchina, che metterà in rotazione il mandrino con la fresa e lo farà scendere fino alla profondità impostata; non ci resta che avvicinare tutto il complesso alla fresa, che lavorerà il pezzo lungo tutto il contorno, mentre la sagoma scorre contro il perno.
Alla fine del percorso il pezzo lavorato avrà assunto le stesse dimensioni della sagoma sottostante, asportando i millimetri in eccesso e realizzando un bordo liscio come quello della sagoma. 



Una volta finito il percorso di scontornatura, si può staccare il pezzo appena lavorato e fissarne un altro, ricominciando il lavoro come prima.

Queste macchine ormai si trovano solo in alcuni laboratori di falegnameria, dal momento che l’attuale tecnologia ha ormai proposto macchine a controllo numerico computerizzato, molto più precise e molto più costose, che vengono programmate con un software adeguato, per far eseguire qualunque tipo di percorso alla fresa senza bisogno di preparare una sagoma grezza per crearne delle copie con il materiale destinato all’uso finale.

sabato 15 febbraio 2014

LA LEVIGATRICE E LA CALIBRATRICE



La levigatrice è una macchina che è stata studiata per carteggiare meccanicamente i pannelli piani in maniera molto più veloce di quanto si possa fare manualmente; esiste in varie lunghezze per soddisfare tutte le esigenze ed è costituita da un nastro abrasivo chiuso su se stesso, generalmente alto 115 mm., di varie grane, per potersi adattare a qualunque lavoro.
Questo nastro scorre velocemente, guidato da due tamburi di alluminio (uno motorizzato e l’altro in folle) e nel lato inferiore scorre verso sinistra, dove c’è la presa dell’aspirazione, in modo che l’operatore non respiri la polvere che si genera durante l’operazione. 



Il pezzo da levigare si appoggia sul piano (regolabile in verticale), in modo che il nastro venga a trovarsi a pochi centimetri dalla superficie da trattare, quindi senza toccarla; il piano viene spostato trasversalmente alla macchina dall’operatore nel momento in cui preme il nastro abrasivo contro il pezzo con un tampone dotato di un feltro inferiormente, per minimizzare l’attrito.
Lo spostamento del piano è necessario per poter carteggiare tutte le parti del pannello in lavorazione; se il pannello è molto largo, si carteggia prima la metà verso l’esterno, poi si gira di 180° e si lavora l’altra metà, in modo da coprire tutta la superficie.
Poiché il nastro abrasivo scorre velocemente, bisogna stare attenti a muovere il carrello in continuazione ed evitare di sostare in un punto, perché si rischierebbe di togliere troppo materiale. Soprattutto nel caso dei pannelli rivestiti con impiallacciatura, che generalmente ha uno spessore di 0,6 mm., questa rischierebbe di venire asportata completamente, scoprendo il materiale del pannello di supporto.
Questo comporterebbe il rifacimento del pannello con l’applicazione di una nuova impiallacciatura, dopo aver sgrezzato completamente la facciata rovinata, e ripetere poi l’operazione di levigatura.
Questa macchina compie l’ultima operazione meccanica prima di mandare i pannelli in verniciatura e serve a levigare i pannelli, rendendoli lisci in modo da metterli nelle condizioni migliori per ricevere la vernice.
Per evitare che il nastro abrasivo trascini in avanti il pezzo quando, premendo col tampone, vengono a contatto, esiste un listello di battuta trasversale al piano nella parte sinistra, a cui vengono appoggiati i piani da levigare.
Una macchina che produce lo stesso lavoro, ma rivolta più al settore industriale, è la calibratrice che ha un tappeto mobile in gomma forata su cui vengono appoggiati i pannelli da carteggiare, dopo che si è definita la distanza dai nastri a cui bisogna farlo scorrere; generalmente le velocità di avanzamento sono due, ma esistono modelli che hanno la possibilità di variare la velocità con continuità. 



Esiste un display che indica quanti millimetri e quanti decimi il tappeto dista dai nastri abrasivi, in modo da poter calcolare quanto materiale asportare ad ogni passata; il concetto è quello della pialla a spessore, solo che qui la macchina lavora con due o più nastri abrasivi, con grana a granulometria decrescente, larghi quasi come tutto il tappeto, ed oscillanti in senso trasversale all’avanzamento.
Le macchine più tradizionali hanno due nastri, che si sviluppano verticalmente, e la consuetudine vuole che il primo, previsto per sgrossare, abbia una grana 80, mentre il secondo può avere una grana 120 o 150, per rifinire al meglio il pezzo. 



I nastri vengono tenuti in tensione da alcuni rulli rivestiti in gomma, comandati da pistoni che sono tenuti in posizione dall’aria compressa.
Queste macchine, oltre che per il numero di nastri in dotazione, si distinguono anche per la loro larghezza: per esempio un’azienda che produce porte sceglierà una macchina con una larghezza utile di lavorazione di 110 / 120 cm.; un’altra che produce solo mensole si accontenterà di una macchina con una larghezza di 60 / 65 cm.
Una cosa importante, per evitare brutte sorprese, quando per esempio di passa alla calibratrice una porta, è ricordarsi di calibrare il tamburato prima di placcarlo con l’impiallacciatura; solo così si può essere sicuri che, quando si andrà a calibrare la porta finita, non capiteranno abrasioni differenti da zona a zona, con asportazione talvolta di tutto il tranciato.
Ovviamente tutte queste macchine devono essere collegate all’aspirazione, per eliminare tutta la polvere di legno che viene prodotta.

giovedì 6 febbraio 2014

IL TRAPANO A COLONNA



Il trapano a colonna è una macchina che, secondo quanto sappiamo, è stata inventata in Australia nel 1889 ed è nata soprattutto per lavorare nel settore della meccanica, dove la precisione era estremamente importante; questa macchina permetteva, per la prima volta, di effettuare dei fori perfettamente perpendicolari alla piastra di appoggio su cui venivano fissati i pezzi da lavorare.
Inizialmente il trapano a colonna era una macchina molto semplice ed era costituita da un motore elettrico collegato, con una cinghia, ad un albero meccanico che portava il mandrino in cui venivano fissate le punte elicoidali; tutto il gruppo era montato su una colonna lungo la quale si muoveva verticalmente, comandato da una leva, per poter affondare le punte nel pezzo in lavorazione.
Inizialmente sembra che la velocità del mandrino fosse unica e che il primo prototipo fosse nato per lavorare appoggiato su un banco; successivamente è stato sviluppato fornendolo di un basamento autonomo a pavimento e di un piano di appoggio che si alzava ed abbassava, bloccandolo con un anello coassiale fuso con il piano mobile, che si stringeva attorno alla colonna.
In seguito arrivarono le modifiche per migliorare il prodotto: nel 1917 fu inventata la cinghia trapezoidale, che sostituiva con successo le vecchie cinghie di cuoio usate fino a quel momento, con un deciso miglioramento per la potenza trasmessa (sotto sforzo quelle di cuoio tendevano a slittare); con l’avvento di questo nuovo tipo di cinghia si cominciarono a costruire anche le pulegge con gole multiple a diametro diverso. 




Queste nuove pulegge, usate in posizione invertita, permettevano di utilizzare la macchina a varie velocità, cambiando solo la posizione della cinghia; la possibilità di cambiare la velocità di rotazione del mandrino è importante perché, per ottenere una buona lavorazione da parte della punta, bisognerebbe mantenere costante la velocità tangenziale delle punte usate.
Questo significa che per le punte con diametri piccoli occorre usare una velocità alta, mentre per quelle con diametri grandi bisogna usare velocità basse, qualunque sia il materiale da forare.
Negli anni seguenti sono state fatte altre migliorie, fino ad arrivare ai trapani di oggi che hanno il piano di appoggio che si sposta con una semplice manovella che lavora su una cremagliera, e che si può inclinare lateralmente, con goniometro di controllo. Le cinghie trapezoidali vengono usate ancora, ma ne sono state introdotte altre più performanti; inoltre sono stati adottati anche dei variatori di velocità ad ingranaggi, che funzionano come un cambio motociclistico e, per le macchine più sofisticate, esistono dei variatori continui di velocità, a doppio cono rovesciato, comandati elettronicamente.
Naturalmente non si montano solo le punte elicoidali nel mandrino, ma ci sono altri tipi di punte che si usano con il legno: le più conosciute sono le punte chiamate levanodi che hanno i taglienti e i rasanti al Widia per poter lavorare anche su materiali duri come il laminato senza sbrecciare (vengono chiamate anche punte da cerniere), ma sono nate per eliminare i nodi dalle tavole di legno, richiudendo poi il foro con un tassello cilindrico dello stesso materiale. 



Altre punte molto simili alle precedenti, ma senza riporti al Widia sono le punte Forstner, che hanno una funzione simile e che sono nate prima delle precedenti. 



Un’altra punta, che si può considerare il capostipite delle punte da legno, è la mecchia (detta anche punta a spatola, per via della forma), che una volta veniva usata con il trapano manuale a gomito, detto girabecchino o menarola. Viene usata ancora oggi ed ha ovviamente diverse dimensioni. 




Un altro utensile che si usa spesso con il trapano a colonna è la sega a tazza, che è praticamente una campana cilindrica con il bordo libero dentellato; esistono in molte dimensioni e servono per fare fori anche di 15 cm. di diametro su diversi materiali. 



Un altro attrezzo che si può usare con il trapano a colonna è il foralastra, che è nato per forare delle lamiere sottili, ma che si può usare anche sul legno e similari, purchè si limiti molto la velocità di rotazione; questo strumento ha un braccio orizzontale spostabile, per fare fori di diverse dimensioni, che porta un’asta tagliente rivolta verso il basso all’estremità libera. Il limite di utilizzazione di questo attrezzo sta nella scarsa profondità che può raggiungere, problema che si rileva anche nell’uso delle seghe a tazza.