domenica 28 luglio 2013

LE COLLE (seconda parte)





I pezzi che devono essere incollati devono essere premuti tra di loro in maniera notevole, sia con una pressa, sia che si usino dei normali morsetti da falegname; durante questa fase, il tempo di incollaggio è influenzato dalla temperatura, per cui nell’incollaggio con la pressa, se si riscaldano i piani si accorcia il tempo di polimerizzazione della colla.
Comunque anche il semplice passaggio dalla stagione invernale a quella estiva condiziona in maniera sensibile i tempi di essicazione. Naturalmente questi tempi non sono uguali per tutti, quindi ogni colla prodotta ha delle caratteristiche diverse dalle altre e, per fare un buon lavoro, bisognerebbe leggere sempre le istruzioni allegate e le caratteristiche del prodotto che si vuole usare.
Le colle viniliche sono di colore bianco latte, ma una volta essicate completamente, cosa che avviene generalmente in 24 ore, diventano trasparenti.
Un fattore importante è l’umidità del legno; il legname in tavole viene ritenuto commerciale quando la sua umidità relativa si aggira attorno al 12%. Prove di laboratorio hanno attestato che con un’umidità relativa attorno al 18 – 20% l’incollaggio risulta decisamente scadente e non è possibile garantire l’unione delle parti in questione. 




Naturalmente esistono varie versioni della vinilica D 2, per esempio esiste quella rapida, che riduce notevolmente i tempi di incollaggio; questa colla risulta utilissima quando ci si trova in cantiere e si sta montando il manufatto che si è preparato in laboratorio, dove ci sono tutte le attrezzature a disposizione ed abbiamo il tempo per fare gli incollaggi importanti, magari utilizzando la pausa pranzo per compensare il tempo morto dovuto all’attesa della polimerizzazione della colla. A volte si incollano certi particolari prima di chiudere la falegnameria, sfruttando il periodo notturno per l’essicazione del collante, trovandolo già pronto la mattina successiva.
Ma quando si lavora in cantiere e abitualmente si corre per finire il montaggio entro i tempi stabiliti, serve un prodotto che ci aiuti a risparmiare tempo, ed ecco che la tecnologia ci mette a disposizione la colla rapida.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: ma perché allora non si usa sempre la colla rapida, se permette un notevole risparmio di tempo?
Con la colla rapida si ottiene un incollaggio quasi immediato, però significa che anche il tempo aperto si riduce moltissimo, quindi bisogna eseguire l’assemblaggio dei pezzi in maniera estremamente veloce, cosa non sempre possibile soprattutto se si tratta di strutture molto articolate.
Questo è uno dei motivi che fa preferire la colla normale a quella rapida; l’altro motivo è di ordine economico, visto che la colla rapida costa di più.  



Questa colla rapida esiste anche nella versione destinata all’incollaggio dei legni duri, quindi con difficoltà di assorbimento, e ce n’è anche un tipo specifico per l’incollaggio delle sedie, dove è molto importante avere una notevole resistenza.
Seguendo l’ordine determinato dalla tabella precedente, ci restano da spiegare le D 3 e le D 4; come abbiamo visto prima, queste sono colle che sono state studiate per incollaggi di elementi destinati a subire la severità degli eventi atmosferici, quindi destinati alla permanenza all’esterno, con o senza copertura.
Le colle della classe D 3 sono destinate a tutti quei manufatti che devono essere utilizzati in ambienti o in posizioni in cui l’acqua si presenta con una certa frequenza; per esempio le aziende che producono pannelli in legno lamellare, destinato a diventare anche top da cucina o da bagno, usano abitualmente questo tipo di colla. Se non lo facessero ed utilizzassero una D 2, col tempo i listelli che compongono il lamellare si comincerebbero a staccare l’uno dall’altro; un altro settore in cui le D 3 sono usate è quello della serramentistica e questa colla è usata per le giunzioni tra montanti e traversi di finestre, scuri o portoncini esterni, che vengono colpiti dalla pioggia battente e non devono assolutamente aprirsi.
Il passaggio alla D 4 viene effettuato immettendo un opportuno catalizzatore nella D 3, nelle dovute proporzioni indicate dal produttore; il miglioramento rispetto alla D 3 sta nel fatto che la D 4 resiste agevolmente all’azione dell’acqua anche per periodi prolungati, in quanto è completamente idrorepellente e non è assolutamente idrosolubile.  



 Per cui se le finestre di casa nostra vengono incollate con una D 3, che è più che sufficiente per resistere a dei temporali saltuari, anche di una certa durata, il giorno in cui decidiamo di costruire la cuccia del cane in giardino, è meglio che utilizziamo una D 4, visto che la quantità di acqua che investe la cuccia è decisamente superiore a quella che colpisce le nostre finestre; per non parlare poi dello stazionamento della neve, che investe solo minimamente la parte bassa delle finestre, mentre il tetto della cuccia ne rimane sommerso. (fine seconda parte)


domenica 21 luglio 2013

LE COLLE (prima parte)




Le colle sono quei prodotti, solitamente liquidi, che applicati sulle superfici di due corpi, ne consentono un collegamento stabile. Le forze che entrano in gioco in queste operazioni sono quelle di adesione, che determinano l’attrazione tra il collante e la superficie su cui viene applicato e quelle di coesione, che determinano l’attrazione vicendevole tra le molecole della colla stessa.
Una volta le colle che si usavano erano di origine animale o vegetale; quelle animali venivano ottenute dalla lavorazione di ossa, pelle, nervi e cartilagini di vari animali, oppure venivano utilizzate l’albumina o la caseina del latte; un’altra colla animale è la colla di pesce, che viene ricavata dalla vescica natatoria di alcuni pesci, soprattutto storioni.
Quelle vegetali venivano estratte dalla cellulosa, dall’amido della farina o dalla resina di alcuni alberi. Naturalmente, col passare dei secoli, le colle hanno cambiato aspetto e sostanze di derivazione, per cui quelle che ho nominato prima sono cadute in disuso quasi tutte ed oggi disponiamo di prodotti molto più facili da usare, da conservare, sempre pronte e con caratteristiche decisamente più performanti.
Attualmente restano praticamente in uso la colla di pelle di coniglio, nota dalle nostre parti come colla garavella, che è stata adoperata come prodotto standard per le falegnamerie fino al periodo post-bellico, la colla alla caseina e la colla di pesce.
 Entrando in una falegnameria 50 / 60 anni fa, che fosse inverno oppure estate con 40°C, c’era sempre la stufa accesa e su questa un pentolino a bagnomaria che conteneva la colla garavella, con il suo tipico odore sgradevole, ma che doveva essere tenuta sempre calda (ma non troppo) per poter essere utilizzata.
Poi, con gli anni, sono arrivate sul mercato nuove colle sintetiche, che hanno rivoluzionato il mondo dell’incollaggio; oggi il panorama dei collanti è immenso e ne esistono per incollare quasi tutti i materiali e sono classificate secondo la norma DIN EN – 204, che le valuta in funzione della loro resistenza al contatto con l’acqua.

CLASSE
CARATTERISTICHE
USI  ED  APPLICAZIONI
D 1
Incollaggio stabile in ambienti a bassa umidità, senza significative variazioni climatiche di umidità e temperatura.
Mobili per arredamento o manufatti destinati all’interno.
D 2
Incollaggio stabile in ambienti interni con umidità elevata, con azione dell’acqua variabile e saltuaria.
Mobili per arredamento di cucine, bagni ed altri ambienti molto umidi.
D 3
Incollaggio stabile di oggetti influenzati da condizioni climatiche variabili (acqua ed umidità).
Manufatti in legno per esterni (porte e finestre) o interni con elevata influenza di umidità ed acqua per tempi brevi.
D 4
Incollaggio stabile di oggetti influenzati in modo elevato da condizioni climatiche variabili (acqua ed umidità).
Manufatti in legno per esterni (porte, finestre, settore nautico) o interni in condizioni climatiche critiche (piscine, cabine doccia, saune).

Oggi sul mercato le colle D 1 non si trovano praticamente più, visto che la diffusione delle D 2 è stata immediata e favorita anche dall’analogo costo di produzione delle D 1, che hanno caratteristiche più scadenti.
Resta praticamente solo la colla di pesce che ha diversi usi: da quello alimentare (per i budini gelatinosi) a quello farmaceutico (per le capsule destinate a certi medicinali) a quello per la doratura in foglia (per la preparazione del bolo, su cui vengono applicati i sottilissimi foglietti d’oro o di altri metalli).

Una delle colle più usate in falegnameria è la colla vinilica che è costituita da una dispersione acquosa dell’acetato di vinile; queste colle si presentano come soluzioni lattiginose più o meno dense, in funzione della diluizione prevista dal produttore.


Questi collanti funzionano benissimo, a patto che una delle due parti destinate all’incollaggio sia disponibile ad assorbire l’acqua contenuta nella colla. Questo significa che possiamo incollare un foglio di laminato (che ha la faccia destinata all’incollaggio irruvidita, ma non disponibile ad assorbire l’acqua) su un pannello di truciolare, o di MDF, o di compensato o una tavola di legno massello, perché questi sono tutti materiali che assorbono acqua.
E’ chiaro che se dobbiamo incollare due pannelli tra loro o due righetti di legno, siamo avvantaggiati perché l’assorbimento dell’acqua, che si trascina dietro la resina termoplastica, avviene su entrambi i lati da incollare, e la penetrazione della colla nelle fibre porose del legno crea un legame fortissimo.
Se infatti, ad essicazione avvenuta, proviamo a separare i due pezzi di legno incollati con la colla vinilica, infilandovi in mezzo uno scalpello e cercando di farlo penetrare, non riusciremo mai a dividere le due parti lungo la linea collante, ma otterremo soltanto di separarli fendendo il legno.
Questa colla, nella versione D2, può rammollirsi per effetto di una forte presenza di acqua come, per esempio, nel caso di un allagamento in un’abitazione. La permanenza in acqua delle parti incollate con la D2 provoca un allentamento dei legami interni della colla, che finisce per permettere il distacco delle parti precedentemente incollate.

Una caratteristica di tutte le colle è il tempo aperto che è il tempo massimo che può trascorrere tra la spalmatura del collante e l’accoppiamento dei pezzi da unire; se si supera questo tempo il collante comincia a filmare superficialmente e l’eventuale incollaggio risulta difettoso, per effetto del decadimento del potere collante.
La colla infatti, per poter avere un buon risultato, deve bagnare la superficie da incollare.
Il tempo aperto viene influenzato da diversi fattori: innanzi tutto dalla diluizione della colla, poi dalla quantità di colla spalmata, dal tipo di legno, che assorbe più o meno velocemente l’acqua e dalla temperatura dell’ambiente in cui si lavora (in estate l’acqua evapora più velocemente che d’inverno)
E’ importante ricordare che tutti i collanti in dispersione acquosa temono il gelo e vanno quindi immagazzinati in locali in cui la temperatura non scende mai sotto i 5°C. (fine prima parte)


domenica 14 luglio 2013

I LAMINATI PLASTICI (seconda parte)



Oltre ai fogli di laminato normali, che hanno un foglio di carta decorativa superiormente ed inferiormente sono “ graffiati “ per migliorare l’adesione, ne esistono altri tipi, più sofisticati, che hanno delle finiture particolari.
Tra questi dobbiamo annoverare quelli traslucidi, che non hanno il supporto fenolico, ma sono costituiti da resine termoindurenti semi-trasparenti che danno l’effetto dell’alabastro e possono fare dei piacevoli giochi di luce.
Un tipo insolito di laminato è quello fosforescente, che viene utilizzato per ottenere effetti speciali, una volta che si spegne la luce; questi fogli infatti emettono una debole luminescenza giallo-verde appena restano al buio, ovviamente dopo aver ricevuto una illuminazione sufficiente.
Esiste anche il laminato “magnetico” nel senso che non è magnetizzato, ma può sostenere piccoli oggetti dotati di calamite, per uso prevalentemente didattico; sono infatti prodotti in modo da poter essere usati anche come lavagne, su cui scrivere con i normali gessetti.
Facendo una lieve variante, possiamo prendere in considerazione una categoria di prodotti similare; sto parlando di quei sottilissimi fogli di polistirene molto flessibili che vengono rivestiti con materiali perfettamente riflettenti e finiti a specchio, tanto da poterli sostituire a tutti gli effetti, oppure ricoperti con finte pelli che hanno finiture particolari a rilievo, o che riprendono la pelle dei rettili, oppure lisce ma con cuciture di vario tipo o mosaici.
Un’altra categoria di laminati di grande effetto è quella che ha come finitura superficiale un foglio di metallo, che può essere opaco, lucido a specchio, satinato o con dei disegni in rilievo parzialmente lucidi; tutti questi fogli vengono forniti con una pellicola di protezione.
Questi laminati si possono usare al posto di diverse lamiere, quando si tratta di effettuare dei rivestimenti di volumi in legno o suoi derivati, sempre che si riesca a tenere nascosti i bordi, che evidenzierebbero il trucco di sostituzione del materiale. Il grande vantaggio di questi fogli è che si possono lavorare con le normali strumentazioni da falegnameria, si possono incollare sia con la colla vinilica, sia con il mastice a contatto, ottenendo lo stesso effetto di una lamiera vera.
Esistono anche dei laminati che sopra il supporto fenolico hanno della vera impiallacciatura di legno o del tranciato precomposto; questi fogli sono più belli di quelli che hanno il foglio di carta con il legno fotografato e sono più realistici, quindi si possono usare al posto della normale impiallacciatura, con il vantaggio che non ci si deve preoccupare della verniciatura finale, in quanto sono già prefiniti dalla casa produttrice, bisogno solo tenere nascosti i bordi per i soliti motivi.
Si consiglia quindi di contornarli con una cornice oppure di usarli come pannellatura da parete (opportunamente supportati), sormontandola con dei coprigiunti quando si passa da un pannello a quello successivo.
Ci sono anche dei laminati che vengono utilizzati per fare dei pannelli quadrati o delle doghe, per creare dei pavimenti galleggianti su piedini o per rivestire un pavimento già esistente, per dare una nuova veste all’ambiente.
In entrambi i casi i laminati hanno delle caratteristiche diverse, per resistere meglio all’abrasione derivante dal calpestio; infatti, anziché impregnare il foglio superficiale con la solita resina melamminica, la si ricopre con un film trasparente ad alta resistenza, chiamato overlay.
Restando sempre nel campo dei laminati con supporto fenolico, esistono dei fogli di spessore notevole (4 – 8 – 10 mm.) che non richiedono l’applicazione su un pannello di supporto perché sono talmente rigidi e resistenti, che possono essere considerati autoportanti e, per questo motivo, sono finiti su entrambe le facce con la carta impregnata di resina melamminica, contrariamente ai fogli di laminato normale.
Questi pannelli vengono generalmente chiamati stratificati ed il loro processo costruttivo è analogo a quello del laminato tradizionale, solo che aumentano i fogli di carta kraft utilizzati per aumentare lo spessore.
Come prodotto affine ai laminati, c’è un prodotto molto particolare che è costituito da un supporto in fibra di vetro resinata su cui viene applicata una sottile foglia di pietra naturale, che viene proposta in varie colorazioni e con rilievi differenti. 


Questo materiale non è indicato per piani orizzontali, ma solo verticali e prevalentemente per pannellature a parete, dove crea degli effetti che sono generalmente ottenuti solo con lastre di pietre naturali, mentre i fogli in questione sono di spessore molto minore, generalmente tra 1 e 3 mm. a seconda dei tipi e si tagliano con una normale sega circolare.
Per l’incollaggio si usa una normale pressa, ma bisogna interporre un foglio di poliuretano espanso per poter distribuire la pressione in maniera omogenea tra le cuspidi e gli avvallamenti del materiale, senza ammaccarlo. Le dimensioni di questi pannelli sono diverse e vanno dal più piccolo che è 122x61 cm. al più grande che è 244x122 cm. 


Parlando di pannelli rivestiti con materiali particolari, non possiamo dimenticare gli sportelli che vengono ottenuti ricoprendo dei pannelli di MDF con sottili fogli di metacrilato, in vari colori, che hanno l’aspetto di pannelli laccati lucidi, visto che anche l’ABS con cui sono bordati è lucido, e la giunzione è quasi invisibile. 


Visto che abbiamo parlato di sportelli, c’è una novità che sta prendendo piede nel campo del rivestimento delle ante dei mobili, si chiama foglio polimerico e non richiede l’operazione di bordatura, in quanto è un materiale deformabile.
Si parte da un pannello di MDF con quella che diventerà la faccia interna già rivestita di un foglio di materiale plastico, generalmente in polistirene, a cui si arrotondano i bordi della faccia esterna, che viene cosparsa di colla; su questo pannello viene appoggiato un foglio di PVC o di PET colorato in tinta con il rivestimento interno, ma di dimensioni leggermente più abbondanti.
A questo punto si mette il tutto in una pressa a tappeto, qui viene riscaldato il foglio polimerico che, essendo termoplastico, viene deformato ed aderisce incollandosi al pannello di MDF anche sui bordi.

Uscendo dalla pressa, vengono tolte le bave in eccesso dal lato interno ed ecco già pronto lo sportello rivestito. Questo materiale però non è resistente come un foglio di laminato, quindi non si può usare per produrre top da cucina o piani di mobili che devono rimanere orizzontali, perché si rischierebbe di rigarli strisciandovi sopra degli oggetti, rovinando così la superficie.

venerdì 5 luglio 2013

I LAMINATI PLASTICI (prima parte)




Il laminato plastico è un materiale molto usato per rivestire pannelli legnosi adibiti alla costruzione di mobili, tavoli, sedie o altri oggetti, vista la comodità di poterli pulire con quasi tutti i detergenti in commercio (esclusi quelli abrasivi).
La produzione del laminato è nata negli Stati Uniti prima della Seconda Guerra Mondiale; negli anni ’50 è stato importato in Italia con il marchio FORMICA, che ha venduto in quantità questo prodotto innovativo.
Anche quando sono nate in Italia altre aziende che hanno cominciato a costruire il medesimo prodotto, ovviamente con il proprio marchio, la gente comune ha continuato a chiamare Formica qualunque laminato vedesse. Il nome del primo produttore era diventato il nome del prodotto. 




Cambiando settore, la stessa cosa è successo col PMMA (polimetilmetacrilato), più noto come metacrilato, che è stato importato tanti anni fa con il marchio PLEXIGLAS e da allora si denota col nome Plexiglas qualunque metacrilato, anche se prodotto da altre aziende concorrenti.
Tornando al laminato, vediamo come viene prodotto: innanzitutto c’è un supporto che è costituito da alcuni fogli di carta kraft, che è praticamente la vecchia carta da pacchi color avana, che vengono impregnati di resina fenolica, che è termoindurente. Su questo supporto, che globalmente è di colore marrone scuro, viene applicato un foglio di carta decorativa che è quello che determina l’estetica del foglio di laminato.
Questa carta può essere a tinta unita, con disegni di vario genere, oppure può essere un foglio su cui è stata impressa la fotografia di un pannello rivestito di vera impiallacciatura, e che quindi ne prende l’aspetto. 




Questo ultimo foglio decorativo viene impregnato con una resina melamminica; tutti questi pacchetti di fogli vengono quindi inseriti dentro una pressa multivano (cioè a diversi piani, ognuno per un pacchetto di fogli) che lavora esercitando una forte pressione, 90 bar circa, scaldando i vari piani fino alla temperatura di 150°C, in modo da fare indurire le resine fenolica e melamminica e dando origine a dei fogli di materiale molto compatto, sufficientemente elastico da poter essere curvato, entro certi limiti.
Per trasportare un foglio di laminato in macchina si usa arrotolarlo su se stesso realizzando un rotolo di circa 40 cm. di diametro, senza che il foglio (che è generalmente 305x130 cm.) crepi. Gli spessori più usati sono 0,7 – 0,9 – 1,2 mm. nella configurazione di foglio, come citato prima; esiste però un tipo più sottile che è circa 0,4 o 0,5 mm. che viene arrotolato in bobine, data la sua flessibilità, ed è destinato al rivestimento di accessori che vanno accoppiati ad altri pannelli placcati in laminato, per esempio le alzatine che sigillano i top da cucina al muro.
Esistono comunque dei laminati che si possono curvare con raggi strettissimi (5 o 6 mm.), se sottoposti ad un adeguato riscaldamento; sono i posformabili.
Questi fogli vengono utilizzati per rivestire i pannelli di truciolare, fresati sul bordo anteriore, destinati a diventare dei top da cucina oppure delle ante da cucina, con i bordi verticali arrotondati, o altri oggetti con forme curve. Le temperature a cui sono sottoposti questi fogli varia in funzione del raggio di curvatura del pezzo e dallo spessore del laminato; generalmente oscilla tra i 150°C e i 220°C. 




I pannelli che vengono rivestiti in laminato ( da ambo i lati, come per il placcaggio dell’impiallacciatura), devono essere bordati per avere un buon livello di finitura nel senso dello spessore, nascondendo così il tipo di pannello usato come supporto.
Il bordo può essere prodotto in ABS o PVC, che sono flessibili e colorati in tutto lo spessore, ma bisogna farlo produrre del colore giusto per il tipo di laminato usato, oppure si possono usare delle strisce del laminato utilizzato per le facce, con la certezza che il colore e la finitura superficiale saranno i medesimi.
Esiste però un piccolo difetto estetico: poiché il bordo in laminato viene applicato perpendicolarmente alle facciate del pannello in questione, metterà in mostra il supporto fenolico (che è marrone scuro) che costituisce il 90% dello spessore del laminato.
A questo punto, se il colore del laminato usato per le facciate è scuro, il filetto del supporto fenolico del bordo sarà poco evidente; ma se il colore è chiaro, ecco che la bordatura metterà in estrema evidenza la riga marrone della resina fenolica.
Per cercare di superare questo ostacolo, sono stati inventati dei laminati che non hanno la resina fenolica, ma sono prodotti con una resina termoindurente colorata che ha la stessa tonalità della carta decorativa usata, in tutto lo spessore; pertanto ha l’effetto del complemento ideale per l’operazione di bordatura.

Bisogna però considerare che questo materiale ha il difetto di essere molto rigido, quindi fragile, e pertanto tende a scheggiare facilmente quando lo si lavora; questo comporta che nelle operazioni di bordatura si debbano usare degli utensili al Widia affilatissimi, altrimenti si rischia di creare sui bordi dei difetti che non passano inosservati.  (Fine prima parte)