domenica 24 novembre 2013

LA PIALLA A FILO E SPESSORE




La pialla a filo è stata inventata per spianare le tavole di legno nella faccia inferiore, visto che non esistono tavole perfettamente piane e lisce dopo il procedimento di essicazione, che porta al ritiro del legno, con conseguente deformazione delle tavole stesse, come abbiamo visto negli articoli precedenti.


La macchina è costituita da due piani separati, di cui quello dal lato dell’operatore (piano di alimentazione) spostabile verso il basso; tra i due piani ruota un cilindro su cui sono fissati dei coltelli lunghi quanto il cilindro stesso e che quindi lavorano per tutta la larghezza del piano. Questi coltelli sono montati in maniera da poter essere tolti per la riaffilatura e sono sistemati in modo da lavorare a filo col piano fisso di uscita della macchina.
In funzione di quanto abbassiamo il piano di alimentazione, possiamo variare la quantità di materiale asportato dalla tavola per ogni passata. Ovviamente il dislivello tra i due piani va calcolato in funzione della durezza del legno: se è tenero si può asportare di più, se è duro ovviamente di meno.
Il piano di alimentazione viene regolato spostandolo su una guida inclinata, per poter controllare meglio la sua discesa e, in molti casi, l’abbassamento lo si può leggere sul fianco dello scivolo.
In funzione di quanto è arcuata o imbarcata la tavola da lavorare, saranno necessarie una o più passate per raggiungere lo scopo, cioè ottenere la faccia inferiore della tavola perfettamente liscia e piana.
Sulla destra dei piani della pialla esiste una sponda parallela, in squadro con i piani, contro cui si appoggia la faccia della tavola appena spianata, per fare lo stesso trattamento anche su uno dei bordi. Questa operazione si compie per poter tagliare la tavola con la sega circolare, avendo un piano perfettamente pari, che combacia completamente con il piano della sega o con il carro, ed un bordo rettilineo per poterlo fare scorrere senza sobbalzi lungo la parallela della sega circolare.
Con questo sistema noi possiamo semplicemente refilare la tavola, per darle due bordi paralleli, oppure tagliare la tavola in tanti righetti, appoggiandosi di volta in volta col taglio appena fatto contro la parallela.
Se abbiamo semplicemente refilato la tavola, perché ci serve intera, abbiamo solo tre lati in squadro e dobbiamo provvedere a squadrare anche il quarto, che è la faccia superiore della tavola, dandole quindi uno spessore costante.
Per fare questa operazione dobbiamo usare un’altra macchina che si chiama pialla a spessore; questa lavora con un cilindro dotato di coltelli, analogo a quello della pialla a filo, ma montato nella parte superiore della macchina e collegato con una trasmissione a dei rulli di avanzamento meccanico, mentre nella pialla a filo la tavola viene spinta manualmente dall’operatore.  




In questo caso il piano è uno solo e si sposta in alto e in basso in funzione dello spessore che dobbiamo realizzare. A questo punto noi dobbiamo appoggiare la tavola passata alla pialla a filo, tenendola con la faccia spianata sul piano mobile, che viene alzato fino a che il cilindro con i coltelli non comincia a lavorare, alzandolo ad ogni passata in maniera adeguata, finchè non si raggiunge lo spessore desiderato.
Alla fine di questa operazione ci rimane soltanto da rifinire il bordo che è stato solo segato, e che porterà i segni della lavorazione alla sega; quindi, mettendo la tavola di taglio, appoggiata sul bordo già piallato, facciamo passare la tavola per piallarla anche sul bordo superiore segato, fino alla misura scelta.
Questo è il sistema usato nelle aziende che possono disporre di macchine separate; esistono però sul mercato delle macchine destinate ai locali con problemi di spazio (chiamate bicombinate), che permettono di fare entrambe le operazioni, ma utilizzando la stessa macchina:




Fino ad ora abbiamo parlato di pialle con i coltelli dritti, che possono essere 2, 4 o 6 in funzione della raffinatezza della lavorazione che vogliamo ottenere. In questi ultimi anni la tecnologia ci ha messo a disposizione delle soluzioni più sofisticate che, oltre alla perfezione di lavorazione, hanno ottenuto anche un abbassamento della rumorosità, che nelle pialle è abbastanza elevata. 







sabato 16 novembre 2013

LA SEGA CIRCOLARE




Questo tipo di sega è stato inventato nella seconda metà del XVIII secolo; rispetto alla sega a nastro, questa macchina si differenzia perché usa una lama dentata di forma circolare.
Le prime lame che sono state costruite erano in semplice acciaio e soltanto prima della Seconda Guerra Mondiale furono fatti i primi esperimenti per applicare dei riporti in Widia, che nel frattempo era stato inventato dalla Krupp nel 1926.
Ma cos’è il Widia? Sostanzialmente è carburo di tungsteno ed è durissimo, si ottiene per sinterizzazione, cioè utilizzando delle finissime polveri che vengono compresse ad altissime pressioni e ad alta temperatura; le placchette che si ottengono sono già conformate per l’uso a cui sono destinate, che non è solo per le lame o le frese per la falegnameria, ma anche per gli utensili destinati alla lavorazione meccanica.
Nel caso specifico delle seghe circolari, le placchette riportate vengono saldate al disco con una lega a base di rame e argento chiamata Castolin (veramente questo sarebbe il nome della ditta produttrice, ma ormai il prodotto è conosciuto con questo nome), ma ci sono molti casi in cui le placchette vengono bloccate su alcuni supporti studiati appositamente con sistemi meccanici, o con semplici viti.
Il grande vantaggio che si è avuto con l’introduzione del Widia (il cui nome deriva dal tedesco Wie Diamant, che significa: come diamante, di cui sono state prese le prime lettere per formare il nome) è stata la grande durata dell’affilatura, che permette di usare gli utensili sei/sette volte più a lungo di quelli in acciaio da utensili.
C’è una piccola annotazione da fare: il Tungsteno è l’unico elemento chimico che ha due nomi, l’altro è Wolframio (che è il nome con cui è stato battezzato ufficialmente) ed il simbolo chimico è W, mentre quello del carbonio è C; pertanto il carburo di tungsteno, che è carburo di wolframio, ha scandalosamente la sigla: WC.
La sigla commerciale, che è quella sicuramente più usata è HM e deriva dal tedesco: Hart Metall, cioè metallo duro.
Il grande sviluppo degli utensili al Widia si è avuta nel dopoguerra, quando sono comparsi sul mercato i primi pannelli di truciolare, che hanno un certo quantitativo di colla termoindurente al proprio interno, e questa è notevolmente abrasiva; questo comportava la sostituzione frequente degli utensili in acciaio, con notevole perdita di tempo e di costi per la riaffilatura, per cui quando sono comparsi sul mercato gli utensili al Widia, sono stati accolti come una benedizione, a dispetto del costo superiore.
Naturalmente anche questi utensili vanno riaffilati e per l’affilatura si devono usare delle mole diamantate, al posto di quelle normali al corindone o al carburo di silicio usate per l’acciaio da utensili.
Tornando alle lame delle seghe circolari, che ormai vengono montate universalmente al posto di quelle in acciaio, anche per la precisione di taglio, abbiamo le placchette riportate che sporgono lateralmente dal corpo lama, come nel caso dei nastri che sono citati nell’articolo precedente; questo comporta in automatico l’eliminazione della stradatura, per cui la lama è complanare, con l’esclusione delle placchette in Widia.
Nella sega circolare la lama può essere comandata in altezza e può essere inclinata fino a raggiungere i 45°; la possibilità di alzarla a piacere ci permette, per esempio, di fare delle semplici incisioni nel pezzo che stiamo lavorando, cosa impossibile con la sega a nastro, che ha solo la possibilità di fare dei tagli completi.
Nelle macchine professionali, prima della lama principale, che ha i denti rivolti verso l’operatore, ce n’è un’altra più piccola chiamata incisore che serve ad evitare che la lama, durante la normale lavorazione, finisca per sbrecciare il legno (tagliato trasversalmente) o i pannelli di nobilitato o placcati in laminato. 


Per ottenere questo risultato l’incisore viene fatto ruotare in senso contrario alla lama principale, per evitare che sbrecci il pannello in uscita, ed ha i denti al Widia a forma di trapezio isoscele, rivolti verso la lama; questo incisore viene calibrato in altezza fino a che i due lati inclinati del dente non producono una piccola incisione nel pannello, che risulti appena un po’ più larga del taglio prodotto dalla lama principale.






In questo modo la lama non viene a contatto con la faccia inferiore del pezzo e questo evita le sbrecciature, mentre il passaggio dell’incisore non fa nessun danno perché non affonda nel pezzo ma si limita ad un’incisione di pochi millimetri, quindi con un effetto di taglio tangenziale, che non strappa il materiale. 


La macchina è dotata di una sponda di appoggio, spostabile lateralmente, sul lato destro, chiamata parallela, che serve appunto per effettuare dei tagli paralleli al senso di avanzamento del pezzo. Di fianco alla lama scorre il carro, che è dotato di un’asta perpendicolare che si chiama bandiera, orientabile per eseguire tagli in squadro e fuori squadro. Nel filmato si nota molto bene quale è l’uso che si fa di queste attrezzature.
Le seghe circolari hanno dimensioni diverse, in funzione dei requisiti che vengono richiesti: lunghezza del carro, larghezza della bandiera, larghezza di taglio in appoggio contro la parallela e diametro della lama; quest’ultimo è quello che permette di tagliare uno spessore di legno più o meno alto.



lunedì 4 novembre 2013

LE MACCHINE FISSE DELLA FALEGNAMERIA




Dall’uso esclusivamente di strumenti manuali ad oggi, la tecnica di produzione della falegnameria ha subito diverse modifiche, con l’invenzione di macchine operatrici che ne hanno notevolmente cambiato l’aspetto; dalla bottega oscura in cui lavoravano diversi operai con attrezzi a volte autocostruiti ed imperfetti, oggi si opera all’interno di capannoni luminosi e dotati di tutte le macchine indispensabili per esercitare la professione del falegname con velocità e precisione.
Bisogna però aggiungere che una volta, se capitava un incidente nel maneggiare gli strumenti dell’epoca, i danni non erano mai molto gravi; con l’introduzione di macchinari che moltiplicano la potenza di lavoro e la rapidità, senza preoccuparsi dell’incolumità degli operatori, soprattutto agli inizi, gli incidenti che sono capitati sono stati spesso gravi.
Oggi, con le normative in vigore, i danni sono stati limitati per effetto delle protezioni obbligatorie che sono state introdotte; ma agli inizi l’inesperienza e la disattenzione hanno portato a diverse mutilazioni.
Un’altra introduzione che permette di limitare moltissimo gli incidenti è stata quella dell’elettronica, che sostanzialmente impedisce il contatto tra l’operaio ed il pezzo il lavorazione, facendo programmare il computer all’interno della macchina dal tecnico e l’operaio si limita a piazzare i pezzi da lavorare poi, quando fa partire l’apparecchiatura, lui è fuori portata dalle parti in movimento.
Vediamo però quali sono le macchine tradizionali in uso nelle falegnamerie più comuni.


LA  SEGA  A  NASTRO

Questa è una delle prime macchine realizzate nel periodo di industrializzazione delle falegnamerie, alla fine del XIX secolo. E’ costituita da due volani, di cui quello inferiore motorizzato e quello superiore in folle, sui quali corre un nastro di acciaio seghettato, con i denti più grandi o più piccoli in funzione della minore o maggiore accuratezza del taglio che si vuole ottenere.
Però i nastri hanno tutti una particolarità: i denti non sono in piano con il corpo del nastro, ma leggermente piegati verso l’esterno, in sequenza alternata; questa disposizione si chiama allicciatura (detta anche ”stradatura”). 


Il motivo di questo posizionamento dei denti (che si trovano dal lato dell’operatore), è dovuto dalla necessità di far avanzare il pezzo in lavorazione senza che il corpo del nastro rischi di sfregare contro il legno; infatti i denti sistemati in fuori creano una “strada” più larga del corpo del nastro, in modo che questo non si surriscaldi per lo sfregamento, deformandosi.
Questo sistema deriva dalla medesima disposizione che i falegnami avevano, ed hanno anche ora, nelle loro seghe manuali, anch’esse “stradate” per alleviare la fatica durante l’utilizzo, derivante dall’attrito.
Ovviamente la sega a nastro, quando è nata, era abbastanza diversa da quelle che vengono prodotte oggi, soprattutto per le protezioni: i volani erano scoperti ed il nastro della sega era esposto per tutta la sua lunghezza, quindi con notevoli rischi di incidenti, che purtroppo sono accaduti.
Inoltre la macchina aveva il piano di lavoro fisso e non aveva la scanalatura nel senso della lavorazione; oggi il piano è inclinabile è c’è la scanalatura per fare scorrere le guide mobili che portano avanti i pezzi da lavorare lungo una linea retta.
Inoltre, in ossequio alle normative vigenti, i volani sono stati coperti ed il tratto di nastro scoperto è molto limitato, in quanto esiste un sistema telescopico per abbassare una copertura che lascia in vista solo la parte necessaria a far avanzare il pezzo, o poco più. 




I nastri sono costruiti in vari materiali (tanto che la sega a nastro viene usata anche in fonderia per tagliare le parti in eccedenza delle fusioni in lega di alluminio) e in varie larghezze; il motivo è che i nastri larghi vanno bene per fare i tagli dritti, mentre quelli stretti servono per segare degli oggetti che hanno un contorno con curve molto accentuate. L’ultima cosa da dire sulla sega a nastro è che il taglio che si effettua con questa macchina, usando il nastro di acciaio, non viene perfetto, ma risente della stradatura dei denti, che lasciano una traccia verticale nel pezzo segato; essendo il nastro in acciaio, senza riporti in Widia, è destinato a tagliare materiali legnosi, escludendo quindi pannelli in nobilitato o rivestiti in laminato, che vengono decisamente scheggiati e ne compromettono l’affilatura.
Ultimamente sono stati messi in commercio anche dei nastri con i denti riportati in Widia, che hanno pertanto il nastro piano, senza stradatura, che viene sostituita dalla presenza dei denti riportati, che sono leggermente sporgenti da entrambi i lati del nastro; l’affilatura dura molto di più, ma costano circa 6 volte di più.
Comunque sia i nastri, prima o poi, devono essere affilati; per questa operazione esiste una macchinetta che provvede sia all’affilatura, dente per dente, sia al controllo della stradatura del nastro, che deve essere mantenuta costante per poter tagliare nelle migliori condizioni.