sabato 29 novembre 2014

LE VITI DA LEGNO



I prossimi articoli sono dedicati ad una serie di elementi indispensabili per il fissaggio dei vari elementi di legno fra loro, oppure per il collegamento dei diversi componenti della ferramenta al legno o ai suoi derivati: le viti da legno.
Facciamo un po’ di storia: le viti metalliche fecero la loro apparizione in Europa nel XV secolo, ma divennero di uso comune solo nel XVIII secolo, quando si trovò il sistema per produrle in grandi quantitativi; infatti nel 1797 l’ingegnere britannico Henry Maudslay brevettò un tornio per la loro produzione e, l’anno successivo, un dispositivo simile fu brevettato negli Stati Uniti da David Wilkinson.
Le viti da legno avevano inizialmente una forma conica; erano di acciaio dolce, non temprato, ed avevano sulla la testa un semplice intaglio per poter procedere al loro inserimento nel legno.
Il fatto che non fossero temprate rendeva obbligatoria una certa cautela nell’avvitamento, per non danneggiare l’intaglio, e molto spesso era necessario un preforo per guidarle opportunamente ed evitare che il legno si spaccasse, per effetto della conicità, che portava ad un graduale aumento del diametro, durante l’inserimento, sia che fossero di acciaio oppure di ottone.
Per molto tempo la forma delle viti è rimasta praticamente la stessa, nelle varie versioni: a testa piana svasata, a goccia di sego, o a testa cilindrica; il grande cambiamento lo si è avuto negli anni ’80 e si sono sviluppate parallelamente agli avvitatori elettrici, che erano la grande innovazione del momento, visto che permettevano di velocizzare moltissimo i tempi di inserimento delle viti.
Però la forma delle viti fu modificata, da coniche diventarono cilindriche con l’anima più sottile ed il filetto elicoidale molto più tagliente e spaziato; oggi le viti Panelvit sono prodotte in acciaio al carbonio, trattate termicamente ed infine lubrificate per ridurre lo sforzo durante l’avvitamento. Inoltre il modo di produrle è cambiato e non si ottengono più per tornitura, ma per rullatura che permette di ottenere il medesimo risultato, ma senza asportazione di truciolo. 

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Però le viti con l’intaglio semplice non erano adatte all’uso degli avvitatori perché l’inserto a taglio montato sugli avvitatori non riusciva a rimanere centrato sulla vite, durante la penetrazione nel legno, ma tendeva sempre ad uscirne, con il rischio di danneggiare il pezzo in lavorazione.
Ci voleva qualcosa di innovativo e l’americano J.P.Thompson trovò la soluzione, inventando la vite con la testa a croce, di cui vendette il brevetto a Henry Phillips, fondatore della Phillips Screw Company. In un primo tempo però Phillips incontrò delle difficoltà a trovare un’officina in grado di intagliare il nuovo tipo di testa, finchè non contattò la American Screw Company che credette nell’idea e fu disponibile ad investire in questo nuovo tipo di intaglio, che poi ebbe un grande successo.
Il grande vantaggio di questa innovazione fu appunto di creare un incavo che permetteva di mantenere centrato l’inserto montato sull’avvitatore, permettendo di premere sulla vite durante l’avvitamento per farla affondare facilmente e senza correre il rischio che l’utensile sfuggisse dalla vite, provocando dei danni.
Questo tipo di intaglio si diffuse a molti tipi di viti, sia a quelle destinate ai lavori di falegnameria, sia alle viti utilizzate nel settore della carpenteria metallica, quindi alle viti a passo metrico (oppure in pollici), alle viti autofilettanti ed alle future autoperforanti.
Poi, negli anni ’90, ci fu l’introduzione di un altro intaglio a croce: il Pozidriv, che è leggermente più grande del Phillips ed ha quattro piccoli intagli supplementari, e questo si rivelò migliore per la trasmissione della coppia di avvitamento. Per un certo periodo, nelle viti da legno, ci fu un po’ di confusione a livello produttivo, in quanto alcune aziende utilizzavano l’incavo Phillips, altre il Pozidriv; poi si arrivò ad un accordo e l’impronta Pozidriv diventò quella destinata alle viti da legno, mentre le viti per il metallo rimasero fedeli al Phillips.
L’ultima novità arrivò sempre negli anni ’90 con l’impronta Torx, chiamata esalobata per la sua forma a sei lobi; inizialmente utilizzata nella meccanica, poi largamente usata anche nel settore legno, visto il grande vantaggio che offriva, soprattutto per le viti molto lunghe e di diametro notevole.
L’innovazione determinava praticamente l’eliminazione della pressione esercitata sulla vite durante l’affondamento; infatti basta appoggiare l’avvitatore sulla vite per vederla avvitarsi da sola, senza premere come si è soliti fare con gli inserti a croce per evitare che “saltino” quando l’avvitamento è difficoltoso.
Tutto lo sforzo viene trasmesso alla vite tangenzialmente ed avvitare delle viti di notevoli dimensioni, come quelle utilizzate per la costruzione delle strutture in legno, lunghe decine di centimetri, diventa un’operazione facilissima anche senza preforatura.


venerdì 14 novembre 2014

REGGIMENSOLE E SOSTEGNI PER SPORTELLI A RIBALTA




Quante volte avete pensato di montare delle mensole a muro, evitando di utilizzare dei supporti esterni, ma con l’intenzione di nasconderli all’interno della mensola stessa? Bene, qui ve ne mostro un paio con caratteristiche interessanti, distribuite dalla HETTICH. 

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Il primo modello si chiama TITAN e prevede un fissaggio a muro con due viti laterali che bloccano la flangia di supporto del perno a muro, utilizzando ovviamente i tasselli adeguati al tipo di muro; i reggimensola hanno due asole laterali per permettere di regolare i reggimensola in fase di istallazione, fino al raggiungimento della perfetta orizzontalità longitudinale.
Inoltre, poiché i muri hanno spesso qualche fastidiosa asperità, ci sono due viti di regolazione per portare in posizione orizzontale (nel senso della profondità) il perno di sostegno; oppure si possono precaricare i perni posizionandoli un po’ all’indietro, verso il muro, per contrastare un forte carico a cui sono destinati.
Come si vede dalle indicazioni a fianco della foto, la HETTICH fornisce i dati di carico ammissibile, in funzione della superficie della mensola in questione, in relazione alla propria profondità.

Nel modello TITAN 1 abbiamo una regolazione in più, che è quella legata allo spostamento laterale del perno di sostegno, oltre naturalmente alla possibilità di inclinarlo, come nel modello precedente.
Data la particolare conformazione di questi reggimensola, oltre al foro (meglio un’asola, per facilitare il montaggio) per l’inserimento del perno, bisogna preparare nella mensola anche l’alloggiamento per ospitare la flangia di supporto, che viene così a nascondersi completamente all’interno.

Un altro articolo che ritengo possa risultare abbastanza utile, soprattutto negli ambienti ristretti, è il meccanismo studiato per ribaltare gli sportelli dei mobili verso l’alto. 

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Questa attrezzatura, nata prevalentemente per i pensili delle cucine componibili, è costituito da una staffa di fissaggio da fissare sul fianco del mobile ed una piastra angolare da collegare allo sportello, comandato da una molla che aiuta l’utente nel sollevamento in fase di apertura.
La HETTICH ne fornisce tre modelli per coprire tutte le esigenze: ci sono due angoli di apertura diversi, per i modelli che hanno la regolazione della spinta in funzione della dimensione e del peso dello sportello da sollevare, ed esiste anche un modello standard, più semplice, senza regolazione.
In basso a destra, nella pagina 262, c’è una tabella che aiuta a programmare la scelta del tipo di meccanismo da adottare, in funzione della dimensione dello sportello da montare; nella dicitura in basso io sostituirei la parola “masonite” (di cui non ricordo che siano mai stati prodotti pannelli da 19 mm. di spessore) con la parola “MDF” di cui lo spessore da 19 mm. è quello più usato per costruire gli sportelli.

L’ultimo dispositivo che voglio mostrare è decisamente più semplice del precedente e non ha regolazioni.


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Si tratta di un braccetto di sostegno per ante a ribalta verso l’alto, che entra in funzione quando si solleva lo sportello portandolo a fine corsa; a questo punto il braccetto si puntella nel sostegno in plastica fissato al fianco, tenendo sollevata l’anta. Per sbloccarlo basta sollevarla leggermente e il meccanismo si sgancia, permettendo la chiusura dello sportello.
Questo meccanismo è tipico dei pensili scolapiatti delle cucine componibili o elementi similari.


martedì 4 novembre 2014

GLI AMMORTIZZATORI PER SPORTELLI




Questa volta parliamo di ammortizzatori per gli sportelli dei mobili, ma non di quelli già inseriti all’interno delle cerniere, ma bensì dei rallentatori indipendenti che si possono montare nei mobili che non hanno le cerniere dotate di ammortizzatore, facendo però in modo da ottenere lo stesso risultato.
L’unica differenza sostanziale è che, mentre nelle cerniere il meccanismo di rallentamento rimane nascosto, in questo caso i vari dispositivi che propone la HETTICH restano in vista. 

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A pagina 138 vediamo che in alto c’è quello che si può definire l’ammortizzatore meno visibile: infatti è costituito da un cilindretto che contiene tutto il meccanismo e che viene inserito (previa foratura opportuna con una dima) nello spessore del cielo o del fianco opposto alle cerniere, incassandolo completamente fino al bordino, in modo da lasciare sporgente solo il perno su cui si appoggerà lo sportello, che lo farà rientrare completamente, senza sbattere.
Il modello successivo invece è più semplice da montare perché va applicato all’interno del cielo o del fianco del mobile con due viti, che provvedono a mantenerlo in posizione; non sono però queste viti a sostenere l’urto dello sportello, ma un bordino di cui è provvisto l’ammortizzatore per appoggiarsi sul bordo anteriore del mobile e che evita che le viti si possano muovere o svitare a causa dei ripetuti colpi ricevuti dalle varie chiusure dello sportello. 

 
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Sempre nella stessa categoria troviamo anche quello che si trova a pagina 139, che rimane a vista e va sempre applicato con due viti, che però rimangono nascoste dal pistoncino (che va inserito successivamente), rendendo il tutto meno appariscente.
Tutti i modelli trattati fino ad ora non hanno la possibilità di essere regolati ed il tempo di rallentamento in chiusura dello sportello (partendo dal concetto che le cerniere abbiano la stessa forza di chiusura), va considerato in funzione della larghezza dello sportello.
Se montiamo questi ammortizzatori al centro del pannello che costituisce il cielo del mobile, avremo una diversa velocità di rientro se, per esempio, lo sportello è largo 30 cm. oppure 60 cm. nel senso che, a parità di spinta delle cerniere, la forza esercitata in chiusura sullo sportello da 30 cm. sarà superiore a quella sullo sportello da 60 cm., quindi i tempi di accostamento dell’anta alla carcassa saranno lievemente diversi.
Se si vuole usare la raffinatezza di mantenere la stessa velocità di chiusura completa di due mobili, dovremo lavorare sulla diversa distanza dell’ammortizzatore dalle cerniere; in questo caso nel pensile da 30 cm. bisogna allontanarlo dal fianco che porta le cerniere, per avere nello sportello un braccio di leva simile a quello del mobile da 60 cm. 

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In alternativa agli ammortizzatori a controspinta fissa, come quelli che abbiamo visto fino ad ora, la HETTICH propone anche un modello registrabile che quindi può essere posizionato senza preoccuparsi di fare tante prove per trovare la posizione più opportuna, facendosi magari aiutare dalla tabella sotto i disegni a pagina 136.