STAGIONATURA DELLE
TAVOLE
Il legno appena
tagliato dal tronco, con qualunque sistema, viene definito “ fresco “; per
poter essere commercializzato ed usato bisogna far scendere l’umidità relativa
da quella iniziale, che è molto alta, fino al 12%- 15%. Per fare questo il
legno deve essere “ stagionato “, questa operazione non serve solo a
disidratarlo, ma anche a stabilizzarlo, eliminando tutte le tensioni interne
presenti dopo il taglio in quella che, a tutti gli effetti risulta una fibra
viva, permettendo quindi ai falegnami di usufruire di un materiale che non dia
delle notevoli sorprese comportamentali durante le lavorazioni.
Una volta, per
ottenere una buona stagionatura, quando ormai il tronco era stato tagliato, con
sistemi assai faticosi e poco precisi, si mettevano le tavole orizzontali "steccate" con i soliti listelli distanziatori e si faceva una catasta costituita da alcune pile di con i soliti listelli distanziatori e si faceva una catasta costituita da alcune pile di tavole, fino
ad un’altezza tale da non comprometterne la stabilità; poi la si copriva con alcune tavole di scarto, affiancate ed unite tra loro, per tenere al coperto la
catasta, dando alla tettoia così preparata un’inclinazione tale da far
scivolare via l’acqua piovana e senza permetterne l’infiltrazione sottostante.
A questo punto le
tavole venivano lasciate per anni a subire le variazioni climatiche e il tempo
di permanenza in fase di stagionatura era determinato soprattutto dal tipo di
legno in questione e dallo spessore delle tavole; tanto per fare un esempio una
tavola di rovere si stagiona naturalmente ad un ritmo di un centimetro l’anno,
per cui se la catasta era costituita da tavole di rovere di 6 centimetri di
spessore, rimaneva ferma per 6 anni. Nel caso di una tavola di abete, dello
stesso spessore, il tempo si riduce ad un anno e mezzo perché il legno è più
tenero e quindi più poroso e questo velocizza l’eliminazione dell’umidità.
I vari passaggi dal
caldo al freddo e dal clima umido al clima secco, e viceversa, facevano in modo
che il legno si assestasse piano piano, distendendosi ed eliminando le tensioni
interne, permettendo così al legname di stabilizzarsi.
Oggi la frenesia della
vita e la necessità di avere disponibile del materiale stabile in tempi brevi,
ha portato all’invenzione dei forni o tunnel di essicazione che lavorano in modo da stagionare il
materiale in tempi molto più veloci. La procedura seguita abitualmente è
questa: si inizia accatastando le tavole appena segate (sempre steccate) per un
periodo che, come al solito dipende dal tipo di legno e dal suo spessore, ma
che può tranquillamente raggiungere il mese e mezzo o due; questo serve a
iniziare la distensione del legno preparandolo all’eliminazione dell’acqua che
contiene, soprattutto negli strati più interni.
Come seconda fase, si
caricano le tavole steccate sopra alcuni carri che vengono introdotti nel
tunnel di essicazione, uno in coda all’altro, sempre dello stesso legno e del
medesimo spessore; una volta chiuso il portone inizia il ciclo di essicazione
artificiale che, come al solito, sarà diverso per i vari tipi di legno e i
diversi spessori. Il sistema tradizionale è dotato di una grossa ventola che fa
circolare l’aria fra le tavole, questa aria viene opportunamente riscaldata, ma
soprattutto umidificata, all’inizio, perché la cosa a cui bisogna stare più
attenti è evitare un’essicazione troppo
rapida, che porterebbe ad un ritiro del legno troppo veloce, con conseguente
deformazione delle tavole e formazione di crepe, cosa assolutamente da evitare
perché si rovinerebbe un notevole quantitativo di legname, che non potrebbe più
essere utilizzato completamente.
In seguito il livello
di umidità viene ridotto, e la temperatura dell’aria circolante aumentata
progressivamente, fino ad ottenere un’evaporazione lenta ma continua, per avere
delle tavole con l’umidità prevista.
Una volta terminato il
periodo di essicazione all’interno del tunnel, che può durare da alcuni giorni
ad alcune settimane, bisogna riaccatastare il legname per la fase di condizionamento, perché l’umidità
relativa, che si riscontra con uno strumento chiamato igrometro, all’esterno delle tavole, è sicuramente più bassa di
quella al centro (non misurabile se non con metodi distruttivi), quindi bisogna
dare al legno il modo di ridistribuire l’umidità in modo che sia uniforme in
tutto lo spessore; e anche questa operazione richiede il suo tempo.
Una volta raggiunta
l’umidità del 12%-15% il legname può essere sistemato, sempre steccato in
cataste oppure in boules, in attesa di un acquirente.
Per riuscire a fare
una contenuta panoramica dei tempi di permanenza all’interno dei forni di
essicazione dei legni più usati, vi propongo quello che viene effettuato dalla
ditta Bertarelli di Luzzara (RE), che produce pannelli in legno lamellare, ma
provvede all’essicazione in proprio.
I dati si riferiscono
ai giorni di trattamento di tavole di spessore nominale di 50 mm.: Abete (10-15
gg.), Ontano (20-25 gg.), Faggio (40 gg.), Mogano Sapelli (50 gg.), Iroko (50
gg.), Rovere (80 gg), Frassino (80 gg), Wengè (120-150 gg.). Da notare che
quando le cataste di tavolame vengono inserite negli essicatoi hanno già
abbassato la loro umidità relativa fino al 40% circa e quando escono l’umidità è
attorno al 10%. Nel caso della ditta Bertarelli, anziché usare i tunnel con i
carri carichi di tavole, l’essicazione viene effettuata in piccole strutture in
lamiera grecata, dove le cataste sono pallettizzate e vengono allineate e
sovrapposte usando i muletti; la capienza media di questi essicatoi è di 80-100
metri cubi di legname.
Tornando al discorso
dei rivenditori di legname da lavoro in tavole, bisogna considerare che ci sono
delle differenze nel trattare le tavole, in funzione del tipo di
legno: possiamo notare
che le tavole di conifera, come per esempio l’abete, sono tutte refilate, cioè sono prismatiche, hanno
quindi i bordi squadrati e le tavole hanno la stessa larghezza da un capo
all’altro.
Questo generalmente
non avviene con le tavole di latifoglie, per esempio il noce, che viene
semplicemente segato, lasciando i bordi inclinati naturalmente, e questi
possono essere più o meno in squadro con la tavola, in funzione della posizione
che avevano all’interno del tronco, prima di essere ridotto in tavole. Inoltre
se il tronco di noce era un po’ storto, le tavole da esso ricavate seguiranno
il suo andamento e vengono vendute agli acquirenti finali così come vengono tagliate
dalla segheria. Naturalmente il valore di una boule o di una singola tavola è
valutato anche in funzione della sua deformazione, quindi se ci troviamo di
fronte ad un tronco dritto, otteniamo delle tavole che possono essere sfruttate
completamente; se invece il tronco è storto, è chiaro che ci saranno delle
parti che andranno buttate via, riducendone la sfruttabilità e, di conseguenza,
anche il valore di mercato.