domenica 18 agosto 2013

COLLE A CONTATTO (quinta parte)





Un altro gruppo di colle usato in falegnameria, ed anche in altri settori, è quello delle colle a contatto, chiamate anche mastici e sono a base di policloroprene (o Neoprene, come fu battezzato dalla DuPont nel 1930, quando lo brevettò).
Sono collanti in solvente organico, quindi molto più volatile dell’acqua, che è il solvente delle colle precedenti. A differenza delle altre, questo prodotto va spalmato su entrambe le facce che devono essere unite, usando una spatola a dentatura fine, per riuscire a distribuirlo uniformemente; bisogna poi aspettare che il solvente evapori quasi completamente (le superfici spalmate devono risultare ancora appiccicose al tatto), e questo comporta un’attesa di 10 / 20 minuti. 


Il tempo di attesa dipende prevalentemente da due fattori: la viscosità, in pratica la quantità di solvente, e la temperatura dell’ambiente in cui si lavora (d’estate il solvente evapora più rapidamente che in inverno).
Quando le superfici sono pronte, devono essere accostate e premute possibilmente con una pressa, se stiamo incollando dei pannelli piani, con una pressione variabile tra 1 e 2 bar. Nel caso che le superfici siano curve, per esempio se stiamo incollando un laminato plastico su una superficie cilindrica di legno, ovviamente non possiamo utilizzare una pressa che ha i piani pari, ma dovremo comunque cercare di fare aderire il laminato al cilindro nel miglior modo possibile. Il sistema più usato in falegnameria prevede l’uso di un martello, con cui si percuote il laminato in modo uniforme, avendo l’accortezza di frapporre un pezzo di legno fra il martello e il laminato, per evitare di fare dei danni superficiali e per distribuire meglio la pressione generata dalle martellate.


Questo tipo di collante ha una presa immediata e non ci possiamo permettere il lusso di accostare la due parti da incollare sistemandole con calma, come succede con le colle viniliche; bisogna invece ricordarsi che, nel momento in cui le superfici spalmate con il mastice vengono a contatto, non c’è più modo di farle scivolare l’una sull’altra.




Questa caratteristica comporta una maggiore precisione nel posizionamento delle parti da incollare ma, in compenso, permette di maneggiare subito i pezzi incollati, anche se la massima tenuta del film collante si ottiene dopo 24 ore, con miglioramenti nei giorni successivi, quando avviene la cristallizzazione completa del policloroprene.
In genere questo mastice resiste bene alla temperatura finchè si mantiene al di sotto degli 80 / 90°C.
Oltre al mastice da spalmare con la spatola dentata, ne esistono altri da applicare in modo diverso; per esempio c’è quello da distribuire con il pennello che è ovviamente meno viscoso di quello precedente ed è un prodotto che viene spesso usato anche dai tappezzieri.
Un altro tipo è quello che si può spruzzare con un aerografo (come quello usato per le vernici, comunemente noto come pistola a spruzzo) che è molto comodo quando si devono incollare elementi con una notevole superficie. 



Esiste poi anche il mastice in bomboletta spray che è molto comodo perché si spruzza sulle due parti da incollare, ma senza dover utilizzare impianti voluminosi come quello per l’aerografo e senza sporcarsi le mani.


sabato 10 agosto 2013

LE COLLE TERMOFONDENTI (quarta parte)




Questa tipologia di colle ha un uso più limitato delle precedenti; il nome ci dice che sono collanti che fondono con il calore e vengono adoperate per la maggior parte dei casi nelle bordatrici, che sono quelle macchine che vengono utilizzate per applicare i bordi ai pannelli di vario tipo che sono stati placcati con laminati, impiallacciature, metacrilati oppure per coprire il listello perimetrale nei tamburati.
Una volta queste macchine utilizzavano una colla in granuli che veniva fusa da una resistenza elettrica, posta all’interno di una vaschetta metallica; da qui la colla ormai liquida, ma viscosa, veniva convogliata su un rullo verticale contro cui veniva premuto il pannello da bordare, facendolo avanzare per tutta la sua lunghezza.
Subito dopo il rullo, usciva il bordo che veniva premuto contro lo spessore del pannello già impregnato di colla; poiché il tempo aperto di queste colle è brevissimo (pochi secondi) avveniva l’incollaggio con una velocità immediata.



Per lavorare correttamente, i vari bordi in PVC o ABS o legno (sia come impiallacciatura da 1 mm. di spessore, sia come righette di pochi millimetri) devono essere più alti dello spessore del pannello da bordare, per essere sicuri che la bordatrice copra con un margine di un paio di millimetri per parte lo spessore del pannello: per esempio un pannello placcato in laminato, con uno spessore totale di 20 mm., viene abitualmente rivestito con un bordo di 24 mm..
Avanzando lungo la macchina il pannello bordato viene rifinito da delle frese che tagliano il bordo in testa e in coda, a filo con il pannello, e da altre due che asportano i 2 mm. eccedenti sia sopra che sotto, in modo da portarlo a filo con lo spessore del pannello stesso.
Queste macchine vengono tuttora costruite, ma in questi ultimi anni è stato brevettato un sistema di applicazione del bordo utilizzando un cilindro di colla termofusibile al posto della vaschetta; questo nuovo sistema permette di cambiare con estrema rapidità il colore della colla da usare, per meglio accoppiarla al colore del bordo, in modo da permetterle di mimetizzarsi al meglio.
Quindi anziché vuotare la vaschetta della colla bianca, usata per bordare dei pannelli con un bordo bianco, sostituendola con una colla marrone per poter bordare dei pannelli in noce (operazione decisamente lunga e antipatica), oggi basta un gesto per sfilare il cilindro di colla bianca, per sostituirlo con quella marrone, ottenendo quindi un notevole risparmio di tempo.
Tutte le operazioni di cui ho parlato fino ad ora si riferiscono a lavorazioni eseguite in laboratorio, utilizzando delle macchine lunghe qualche metro; per chi volesse eseguire delle operazioni di bordatura senza poter usufruire di tali macchine, sono stati inventati i bordi precollati, che sono bordi analoghi ai precedenti, ma sono già stati spalmati di colla termofusibile, che ovviamente è asciutta a temperatura ambiente, ma che è pronta a sciogliersi se sottoposta al calore provocato da un semplice ferro da stiro, e veloce nel rapprendersi appena il contatto con il ferro da stiro viene sospeso, realizzando quindi l’incollaggio del bordo.





Chiaramente tutte le operazioni di rifinitura del pannello, in questo caso, devono essere effettuate manualmente. Io ho parlato del ferro da stiro perché è stato il primo strumento che si è usato per applicare i bordi precollati, ma oggi esistono degli apparecchi portatili che lavorano molto meglio e più velocemente, utilizzando un termosoffiatore per scaldare la colla, come questo: 





Una particolarità di queste colle termofusibili è che se ci sbagliamo ad applicarlo o se la bordatrice è tarata male, per cui il lavoro non viene bene, si può sempre intervenire con una fonte di calore per rammollire la colla al punto tale da riuscire a staccare il bordo. Prima di incollarne uno nuovo bisogna però togliere (finchè è morbida) la colla usata precedentemente e ripulire lo spessore del pannello, in modo da non lasciare grumi di colla vecchia, che danneggerebbero la nuova applicazione.
Cambiando settore, c’è un altro caso in cui si usano le colle termofondenti ed è quello delle pistole per candelette a caldo: questi strumenti sono costituiti da un’impugnatura dotata di grilletto che fa avanzare una candeletta che si scioglie al contatto di un ugello riscaldato da una resistenza. Questi utensili vengono usati spesso durante le istallazioni degli stand fieristici, dove bisogna incollare i materiali più disparati in tempi brevissimi e per durate relativamente brevi.



E’ tipico l’uso di queste pistole quando si devono applicare in parete delle piastrelle che devono fare da sfondo ad una cucina componibile: basta depositare quattro gocce di colla negli angoli delle piastrelle e farle aderire alla parete, tenendole in posizione per pochi secondi. In questo breve periodo la colla si rapprende esercitando un forte potere collante, che non può sostituire le colle specifiche per piastrelle ma, visto che non è richiesto un incollaggio duraturo, il risultato è ottimo.
Tutte le colle termofusibili di cui ho parlato sono a base di etilvinilacetato (EVA) e vengono usate anche in vetreria, quando si deve inglobare, per esempio, una sottile rete metallica fra due lastre di vetro, con scopi puramente decorativi.
Questo procedimento non va confuso con quello di produzione di vetri di sicurezza stratificati, dove i fogli di materiale adesivo sono di polivinilbutirrale (PVB), che ha altre caratteristiche. (fine quarta parte)



domenica 4 agosto 2013

LE COLLE TERMOINDURENTI (terza parte)



Le colle termoindurenti sono quelle che, come dice la parola stessa, polimerizzano per effetto della temperatura; per l’incollaggio del legno vengono usati collanti che sono il risultato di una combinazione della formaldeide con: l’urea, la melammina, il fenolo e la resorcina. Questa combinazione dà origine a dei prodotti che, dopo il riscaldamento, che ne determina l’indurimento, non sono più solubili e rimangono stabili; nel caso delle ultime tre siamo addirittura nella classe D 4 e vengono utilizzate per tutti quegli incollaggi che devono essere utilizzati per produrre materiali (soprattutto compensati) destinati a resistere alle intemperie, come per esempio tutti i multistrati di abete o pino usati nel settore dell’imballaggio.
La colla termoindurente di uso più frequente è quella a base di urea e formaldeide, che è il tipico prodotto usato quando si pressa a caldo, sia quando si tratta di placcare del tranciato su dei pannelli di truciolare o altro, sia per produrre dei pannelli tamburati. 




Questa colla si presenta sotto forma di polvere bianco-giallastra e contiene anche il catalizzatore; l’unica cosa che va aggiunta è l’acqua che va immessa subito per il 50%, poi, usando un agitatore elettrico, si mescola fino ad ottenere una pasta senza grumi; a questo punto viene addizionata la parte restante di acqua, per raggiungere la giusta viscosità della colla.
Una volta raggiunta la condizione ottimale per stendere la colla possiamo usare uno stendicolla (già illustrato precedentemente), una pennellessa, una spatola dentata, se ci troviamo in un ambiente artigianale, oppure delle macchine incollatrici, dotate di rulli appositi, se ci troviamo in un azienda che lavora quotidianamente con le presse, per produrre placcati di ogni genere.
La spalmatura si effettua in maniera diversa in funzione dei prodotti che devono essere incollati: se dobbiamo lavorare con dei compensati di pioppo, che è molto poroso, dobbiamo utilizzare una miscela un po’ più fluida; se invece dobbiamo incollare degli elementi in legno duro, che quindi ha difficoltà di assorbimento, si consiglia di spalmare una miscela più densa sulle due facce da accoppiare.
Un altro dato importante è il trasudamento della colla; quando si devono placcare dei tranciati come: rovere, castagno, frassino e similari. Poiché ci troviamo in presenza di essenze che hanno un poro molto vistoso, che facilita il trasudamento della colla all’esterno, ci dobbiamo preoccupare di minimizzare questo fenomeno, in quanto la colla che esce attraverso i pori viene evidenziata al momento della verniciatura, mettendo in mostra un diverso colore rispetto al legno.
Per limitare questo inconveniente ci sono generalmente due soluzioni: una è quella di aggiungere della colla vinilica densa all’impasto urea – formaldeide; l’altro è quello di aggiungere degli eccipienti che addensano la colla, i prodotti usati più spesso sono le farine di cereali. Nell’azienda dove lavoravo io si utilizzava la farina di grano duro, che si comportava decorosamente; purtroppo però non si riesce a creare una barriera invalicabile, quindi bisognava mettere in conto qualche fuoriuscita di colla dai pori. Se dovevamo placcare del frassino il problema non si poneva, data la somiglianza del colore del legno con quello della colla.   
Diverso è il caso invece di utilizzo di tranciati scuri come il Wengè, che presenta anche lui il poro sensibilmente aperto e quindi propenso a far trafilare la colla all’esterno. In questo caso bisogna risolvere il problema tingendo la colla con gli ossidi, che sono polveri coloranti, oppure con coloranti universali liquidi; in ogni caso questi prodotti vanno aggiunti alla colla già preparata in quantità sufficienti da tingere la colla in modo da farla assomigliare al legno da incollare, per quanto è possibile.
In questo modo, anche in caso di trasudamento della colla, siamo sufficientemente cautelati per la successiva verniciatura, che non evidenzierà differenze sensibili di colore.
Parlando di formaldeide viene spontaneo dare un’occhiata alla normativa vigente, che prevede che i pannelli che contengono le colle a base di formaldeide devono ottemperare la direttiva che prevede il rispetto della classificazione E 1, secondo la quale le emissioni di formaldeide (che è un gas: HCHO) non devono superare 0,1 parte per milione di molecole di aria, in ambianti domestici.
Questo praticamente corrisponde a 0,124 mg/mc.; dobbiamo però fare anche un’altra considerazione: questi valori si ritrovano generalmente nei pannelli grezzi, ma se noi placchiamo un pannello di truciolare con due fogli di laminato e rivestiamo i bordi con i soliti materiali usati per i bordi, noi creiamo una barriera alle esalazioni di formaldeide che quindi rimane bloccata all’interno.
Un criterio simile lo ritroviamo per i pannelli di MDF laccati o di altri pannelli impiallacciati e poi trattati con vernici trasparenti; in questi casi la laccatura o la verniciatura rivestono i pannelli sottostanti in maniera completa. C’è però una differenza: in questo caso non abbiamo un isolamento completo del pannello interno, perché la vernice è strutturata in modo da mantenere una microporosità che permette la trasmissione (molto debole) di umidità e gas, quindi anche di formaldeide, anche se in quantità infinitesimali.
Per gli amanti della colla vinilica per il placcaggio dell’impiallacciatura (senza emissione di formaldeide) ecco il prodotto giusto:




(fine terza parte)